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 2025  febbraio 21 Venerdì calendario

Quella di Trump è tutta una strategia per contenere Pechino

Il violento attacco di Trump a Zelensky, per quanto brutale e inatteso, non deve sorprendere. Così come non devono sorprendere la dura presa di posizione antieuropea del vicepresidente Vance a Monaco e l’esclusione di Ucraina e Unione Europea dagli incontri russo-americani a Riyad. Trump applica una tattica collaudata: alzare la posta, creare caos, minacciare e costringere gli avversari a piegarsi alle sue condizioni. Lo ha fatto con Messico e Canada, costringendoli a rafforzare precipitosamente il controllo dei propri confini per evitare dazi americani punitivi. Ha ripetuto lo stesso schema in Medio Oriente: la sua provocazione sull’espulsione di due milioni di palestinesi da Gaza e sulla costruzione di resort turistici nella Striscia ha obbligato Egitto, Giordania, Arabia Saudita ed Emirati a mobilitarsi con urgenza per tentare di definire un proprio piano di pace.Con l’Europa, Trump ha seguito lo stesso metodo. Dopo l’esclusione dai negoziati di Riyad e le critiche di Vance, la reazione europea è stata affannosa: accettazione di un aumento delle spese militari – e perfino del tabù di scorporarle dai vincoli del Patto di Stabilità – mentre la Francia ha organizzato un vertice d’urgenza per discutere di difesa comune e del possibile invio di forze europee in Ucraina. Trump agisce come un broker spregiudicato: non si limita ad affrontare le crisi, le trasforma in asset da gestire. L’Ucraina non è più solo un conflitto da risolvere ma una merce di scambio.Il prezzo è chiaro: accesso alle terre rare ucraine, accordi economici vantaggiosi con Mosca e una rapida chiusura del conflitto per concentrarsi sul vero rivale: la Cina. L’attacco a Zelensky non è dunque un errore, ma una mossa calcolata. Trump vuole colpire e al tempo stesso ammansire il presidente ucraino, mentre scredita Biden sostenendo che la sua gestione della crisi è stata fallimentare e che solo lui può chiudere la partita, ma con altri mezzi.Trump mira soprattutto a forzare compromessi che, senza questa pressione estrema, sarebbero difficili da far accettare a Kiev. Già alla fine di dicembre, in ambienti diplomatici internazionali, circolavano informalmente ipotesi negoziali attribuite agli americani, molte delle quali sembrano ora riemergere: una tregua possibilmente entro Pasqua, elezioni in Ucraina per ridimensionare o rimuovere Zelensky, un veto all’ingresso nella Nato, ma un’apertura all’Unione Europea, garanzie di sicurezza accettabili per Mosca ecc...Putin ha compreso bene questo metodo e sa che, per allettare Trump, deve offrirgli incentivi economici concreti. Entrambi parlano la stessa lingua e amano negoziare con la pistola sul tavolo. La presenza a Riyad di Dmitriev, capo del fondo sovrano russo è eloquente: Mosca non si limita a negoziare il futuro dell’Ucraina, ma offre a Trump opportunità economiche vantaggiose: accesso a risorse strategiche russe, apertura a investimenti americani in settori chiave, sfruttamento dell’Artico. In cambio, la Russia riconquista lo status di grande potenza, lasciandosi alle spalle l’etichetta di attore regionale.La logica del broker è evidente anche sul fronte asiatico. Trump vuole usare Mosca come leva per contenere Pechino. La reintegrazione della Russia nei mercati globali – da qui l’idea di rianimare il G8 – ridurrebbe la sua dipendenza economica dalla Cina e ne indebolirebbe il ruolo nella sua sfida alla supremazia del dollaro. Le conseguenze sarebbero decisive: indebolire l’asse Mosca-Pechino, limitare il sostegno russo a Iran e Corea del Nord e rafforzare la posizione americana in Asia. La Cina ha tratto grandi vantaggi dall’isolamento russo, trasformando Mosca in un junior partner sempre più dipendente. Se Trump riuscisse a scardinare questa dipendenza, Pechino perderebbe un alleato strategico e si troverebbe indebolita nella sua competizione con Washington. Non a caso, Xi Jinping osserva con inquietudine ogni segnale di riavvicinamento tra Mosca e gli Stati Uniti. E non a caso, alla Conferenza di Monaco è iniziato un discreto corteggiamento reciproco tra Europa e Cina: il ministro degli Esteri Wang Yi ha sostenuto la partecipazione dell’Europa ai colloqui russo-americani di Riyad, mentre la Commissione Europea ha fatto aperture commerciali verso Pechino, preoccupata dalle possibili ripercussioni di futuri dazi americani sui beni europei.Questa crisi ha accentuato inoltre la frattura tra la sicurezza americana e quella europea. Mentre Washington guarda sempre più all’Indo-Pacifico, l’Europa resta ancorata a una visione continentale della propria difesa, senza però una reale capacità autonoma di garantirla. Il mondo si riorganizza secondo logiche di scambio: chi ha risorse da negoziare impone le regole, chi ne è privo resta ai margini. L’Europa è davanti a un bivio. Può restare spettatrice e subire decisioni altrui oppure può trasformare questa crisi nell’occasione per rafforzare la propria coesione politica e strategica. Soprattutto, dovrà ricordarsi di essere un sistema comune di valori in un momento storico in cui sembrano contare solo gli interessi.