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 2025  febbraio 21 Venerdì calendario

Effetto Trump sui partiti italiani

Giorgia Meloni, di Alessandro De AngelisAndava di moda dire, dopo le elezioni americane: Giorgia Meloni sarà il “ponte” con Donald Trump. L’ambizione del palcoscenico internazionale era dichiarata. Tuttavia di quel ponte non si è mai capito quali fossero le fondamenta politiche. Chiaro quel che c’è di là: la nuova amministrazione americana. Meno quel che c’è di qua: se più integrazione europea, prospettiva sfidante per Trump o i singoli Stati nazionali (e più disgregazione europea), assecondando la logica bilaterale del “one to one” propria del nuovo presidente americano. Questo il nodo politico vero. Invece di scioglierlo, si è coltivata l’illusione che l’affinità ideologica fosse un elemento facilitante dei rapporti politici con Trump, tra una visita a Mar-a-Lago, una foto con Musk e la corsa all’insediamento in compagnia di Milei.Ebbene, per dirla con Majakovskij: la barca dell’amore si è arenata sulla realtà. L’unilateralismo brutale dell’America first dimostra che l’interesse (di Trump) prescinde da tutto. Fare i mediatori è complicato e logorante. Più che gli affini contano i funzionali, se poi sono anche affini come Victor Orban, meglio ancora. Di qui, anche se era tutto prevedibile, lo spiazzamento che si registra a palazzo Chigi di fronte all’escalation, finora solo verbale, di Trump. La premier dà l’idea di subire e inseguire gli eventi: va Parigi, costretta dalle circostanze, per mantenere un piede in Europa ma col broncio di chi avrebbe dovuto essere altrove, per non indispettire Trump; va a Washington alla convention dei Conservatori, per mantenere un altro piede nel suo campo, ma da collegata. Di certo non apostroferà Zelensky come “dittatore” ma non parla più di pace “giusta”, bensì solo “duratura”. E lunedì, giorno dell’anniversario dell’invasione, eviterà di andare in Ucraina.Si chiama, molto banalmente: oggettiva difficoltà. Non tattica astuta. La fotografia di Giorgia Meloni, in questo momento, è quella di una scissione identitaria. Ha costruito la sua immagine internazionale su Ucraina ed europeismo possibile, nel mondo di prima dove era apprezzata come “populista gentile”. Trump di gentile ha poco ed è il “capo” mondiale dei conservatori: nel nuovo mondo i meriti acquisiti allora, per la premier, rischiano di diventare delle colpe. Insomma, deve reinventarsi un ruolo. E in questo momento è nella situazione di colei che avanti non sa come andare, anche perché l’ossessione della sfida a destra la porta a sopravvalutare Salvini e il suo “trumpismo”. Indietro può tornare solo in parte, non fino al punto di smentire del tutto se stessa sull’Ucraina abbandonando Zelensky. Doveva costruire un ponte, rischia di impantanarsi in mezzo al guado.•••Matteo Salvini, di Flavia PerinaParagonare la posizione di Matteo Salvini pre-Trump a quella di Matteo Salvini post-Trump per capire le nuove ambizioni del momento. Pre-Trump: sotto processo per sequestro di persona, costretto a rinunciare al Viminale, sorpassato da Forza Italia, obbligato a silenziare la sua ammirazione per Putin, surclassato da Giorgia Meloni nei rapporti internazionali, membro europeo di un gruppo emarginato da tutti. Post Trump: alleato di un gruppo apertamente sostenuto da Elon Musk e dalla nuova amministrazione Usa, premiato dalla de-diabolisation di Putin, gratificato dalla totale sconfessione della linea di Giorgia Meloni su Volodymyr Zelensky, assolto da ogni accusa, potenzialmente di nuovo in corsa per il Viminale.Che sia quest’ultima la vera ambizione di Salvini, il prezzo della tregua interna che prima o poi chiederà alla premier, ci sono pochi dubbi. Crede di avere (e forse ha) sostegni esterni potenti. Ieri per la seconda volta in tre giorni l’uomo di Musk in Italia, Andrea Stroppa, ha lanciato un referendum sulla gestione Piantedosi del Ministero degli Interni fatto su misura del capo della Lega. Nelle orecchie del Capitano risuonano ancora come miele le parole del vice-presidente americano J.D.Vance a Monaco, con l’invito a giudicare prima emergenza assoluta l’immigrazione: chi meglio dell’uomo dei porti chiusi, della Open Arms, del muro tra Italia e Slovenia, può interpretare quella linea?Salvini è al lavoro per aprirsi la strada in quella direzione, confidando in uno scenario internazionale a favore del ritorno di una figura politica “amica” alla guida di un ministero cruciale. In fondo, Matteo Piantedosi fu prescelto perché il Capitano era impantanato in un processo a lunga scadenza e le sue relazioni russe risultavano imbarazzanti. Ma ora che la tempesta si è placata, ora che nasce l’asse Trump-Putin, in nome di cosa dirgli no?Le dichiarazioni adoranti per i nuovi padroni americani – Trump merita il Nobel, Musk portatore di «accordi grandiosi», persino i dazi benedetti come «spinta a far meglio» – costituiscono solo una metà della strategia salviniana. L’altra metà è rendersi fastidiosissimo per la maggioranza con pretese e dichiarazioni altamente divisive: la nuova pace fiscale, il terzo mandato, l’emendamento contro le Sovrintendenze, l’irridenza contro Marina Berlusconi, eccetera. Ogni giorno una martellata ai suoi soci in attesa del momento in cui, in una parodia di quel che sta accadendo a livello planetario, si convocherà un vero tavolo per il cessate il fuoco. Sarà lì che il Capitano detterà le sue condizioni, e chissà che non possa anche farcela.•••Antonio Tajani, di Francesca PaciLa prudenza, predicata e praticata, è stata in fondo la fortuna di Antonio Tajani. Chi l’avrebbe mai detto che il suo partito sarebbe sopravvissuto al Cavaliere. Però in alcuni momenti, la prudenza fa notizia, e non è questione di indole. Il cronista registra toni acuti nel mondo: Trump esonda, brutalizza Volodymyr Zelensky, terremota l’Ue. Insomma: allacciate le cinture. In Italia si sente invece la voce del ministro degli esteri: «Non soffermiamoci sulle parole e teniamo i nervi saldi». L’eco di una postura attendista. Certo non un’adesione alla Casa Bianca, perché l’europeismo non è in discussione, ma neanche una sfida aperta.La prudenza racconta molte cose, che attengono, squisitamente alla politica. Perché il leader di Forza Italia è oggettivamente stretto. Quell’attendismo è anche un modo per non scegliere. Ovvero: se si sintonizzasse sulle onde di Marina Berlusconi dovrebbe definire “bullo” Trump e volare a Kyiv per l’anniversario dell’invasione; però questa non è la posizione di Giorgia Meloni, che si divincola tra il sostegno all’Ucraina e il timore di indispettire Trump e a Kyiv probabilmente non andrà. Difficile conciliare gli opposti, e infatti nel Palazzo proliferano le scuole di pensiero: «Mica può parlare in quel modo il ministro degli esteri», dicono i sostenitori, mentre i critici attaccano: «Ha toni moderati, dovrebbero osare di più».Certo, il quadro è cambiato. Prima di Trump, Tajani era il ponte di Giorgia Meloni verso l’Ue, l’argine contro qualsiasi possibile deriva sovranista del governo italiano. Ora che la premier vorrebbe essere la mediatrice con Washington, il suo ruolo è più difficile. Fare il controcanto a Salvini è facile, ma per condizionare Giorgia Meloni nel nuovo quadro la prudenza forse non basta. Di certo non si può dire che, dalla Farnesina, sia partita una iniziativa politica audace, anche in virtù dell’appartenenza al Ppe, assai meno diplomatico sul trumpismo. Audace tipo quella che, per dire, venticinque anni fa mise in campo il tedesco Joschka Fischer per condurre i suoi verdi alla rottura con il pacifismo e sostenere l’intervento militare e umanitario nei Balcani prima e poi in Afghanistan. Senza andare troppo a ritroso, mercoledì scorso la ministra degli esteri Annalena Baerbock, del partito ambientalista tedesco, si è sottratta alla tentazione dell’equilibrismo geopolitico definendo «assurda» l’aggressione di Trump.La prudenza non è una novità. Anche a dicembre, quando il Ppe ha riconosciuto l’europeista Salome Zourabichvili come unica presidente legittima della Georgia, Tajani è rimasto un passo indietro, cauto. Chissà, forse le elezioni tedesche, col ritorno al governo della Cdu nella Grande coalizione, avranno un ricasco italiano, inteso come allentamento dei freni inibitori•••Matteo Renzi, di Fabio MartiniCerto, Matteo Renzi cercherà di non farsi “scoprire” per il tempo più lungo possibile. Ma lui sta già sperimentando uno schema di gioco col quale, a forza di repliche, spera un giorno di ottenere il “diritto di accesso” nel Campo largo. Renzi sta diventando l’incursore dell’opposizione, quello che prima degli altri scova l’argomento più penetrante per infilarsi nella difesa di Meloni. È accaduto con Almasri, si è ripetuto con le bollette. Ma al tempo stesso Renzi sta diventando il compagno di strada più affidabile di Elly Schlein. Un ruolo da falso nueve, cioè da regista arretrato dell’attacco che si incunea, fornisce assist e momento giusto lascia il campo alla segretaria Dem per consentirle, se le riesce, di fare qualche gol.Ma ora il ciclonico effetto-Trump può avere l’effetto di spiazzare tanti tatticismi italiani, compreso quello renziano? Il Conte turbo-trumpiano mette in estremo imbarazzo il Pd. Renzi, se dovesse essere coerente con sé stesso, dovrebbe invitare Schlein a fare una chiara scelta di campo. Ma Renzi difficilmente metterà in imbarazzo la segretaria: è su di lei che investe per il proprio futuro e non a caso proprio Renzi ha architettato un teorema che è un vestito su misura per Schlein: il ruolo di candidato per la guida del governo? Deve andare al leader del partito che ha ottenuto più voti.E infatti Carlo Calenda non ha perso tempo e ha messo nero su bianco: se il Pd non prenderà atto della svolta filo-autoritaria di Conte, non si parlerà più di un’alleanza. E per Schlein, Calenda conia una di quelle battute che un tempo erano prerogativa di Renzi: cara Elly, «il momento di decidere è arrivato, non puoi continuare a fingerti morta».Matteo Renzi invece nicchia. Ieri si è tenuto sulle generali: «Siamo al post Yalta: è un tornante della storia». Giudizi sferzanti su Conte o Schlein? Non pervenuti. Ma intanto la squadra di Renzi, che in Parlamento è tra le più preparate, ha scoperto una carta che potrebbe diventare un’arma per tutte le opposizioni: il presidente dei senatori di Italia Viva Enrico Borghi sta per presentare un disegno di legge per la ratifica degli accordi firmati nel 1952 per l’istituzione della Comunità europea di difesa, la Ced. L’autentica sorpresa è che quegli accordi, dispersi nella memoria dopo che il Parlamento francese non li ratificò, formalmente sono soltanto sospesi. Ma il Parlamento tedesco li aveva approvati e se tanti anni dopo anche Francia e Italia riprendessero quell’iter, la storia potrebbe prendere un’altra strada. Ieri sera da Parigi è arrivata in Senato una telefonata: per saperne di più•••Elly Schlein, di Francesca SchianchiÈ stata la spina nel fianco della segretaria Pd fin dalla sua elezione, la guerra in Ucraina. L’atteggiamento da tenere, l’invio di armi a Kiev, hanno ripetutamente fatto fibrillare il partito, così come il rapporto con gli alleati di AvS e del Movimento cinque stelle. Una tensione risolta fin qui da Elly Schlein con l’equilibrismo che, almeno tra i dem, mascherava fratture e divisioni: ok a nuove munizioni, è stato sempre il mantra, ma accompagnate dalla raccomandazione che si cominci un percorso diplomatico. Ora che quel percorso è iniziato, ma sotto le insegne brutali di Donald Trump, che ha capovolto le parti assegnando quella della vittima al presidente russo Putin e quella dell’aggressore all’ucraino Zelensky, rischia paradossalmente non di chiudere una stagione complicata, ma di far deflagrare tutte le differenze che albergano dentro a quell’eterna incompiuta definita per comodità campo largo.Non ci possono essere dubbi su cosa pensi Schlein del presidente americano: fin dal giorno della sua elezione lo accolse come «una brutta notizia per l’Europa e per l’Italia». Non possono esserci nemmeno se, due giorni fa, davanti alla sequela di attacchi e falsità rovesciati da Trump su Zelensky, non è intervenuta, fedele alla linea un po’ lunare di non lasciarsi trascinare dal flusso quotidiano e tenere la barra sulle difficoltà concrete degli italiani. Il problema però è che il vicino di banco riottoso, quel Giuseppe Conte con cui lei vuole costruire lo schieramento futuro e che al contrario spesso e volentieri si sottrae all’abbraccio, usava invece parole che lo collocano dritto dritto da un’altra parte, lontanissimo dall’accorata difesa di un popolo aggredito e del diritto internazionale, predicata in questi anni anche da Schlein.Così, come il celebre battito d’ali di farfalla che provoca un terremoto dall’altra parte del mondo, il ritorno di Trump alla Casa Bianca rischia di disfare in un amen la tela tessuta pazientemente negli ultimi due anni. Il tentativo di costruire uno schieramento comune con i Cinque stelle, di mettere le basi di un’alternativa in grado di competere ad armi pari con la destra, quando sarà il momento. Ora a Schlein non basterà più chiedere con insistenza alla premier di togliere il berrettino del Make America Great Again per indossare la maglia dell’Europa: dovrà rivolgere la stessa domanda anche al suo alleato. Consapevole che la sua risposta potrebbe travolgere in un attimo la strategia testardamente inseguita fin qui.•••Giuseppe Conte, di Federico GeremiccaL’unico sentimento che dovrebbe esser escluso, analizzando politicamente le ultime mosse di Giuseppe Conte, è la sorpresa. Infatti, la ruvidezza con la quale ha annunciato di apprezzare il Trump che denuncia «la propaganda bellicista dell’Occidente sull’Ucraina», smaschera definitivamente un sentire che da tempo (forse da sempre) appariva mal represso. Un sentire, per altro, riemerso qualche giorno fa con la flebile solidarietà – formale, non sostanziale – rivolta al Capo dello Stato, finito nel mirino della Russia.Il pensoso dubbio su chi scegliere tra Biden e Trump, è dunque finalmente sciolto: con tutto quello che potrebbe (dovrebbe) seguirne. I Cinquestelle di Conte, infatti, si ritrovano di nuovo sottobraccio a Matteo Salvini, altro leader in difficoltà dalla parte opposta del campo.Considerati i blocchi contrapposti, questa vicinanza potrebbe esser considerata una fuorviante suggestione. E può esser sia così. Ma il governo “gialloverde” resta pur sempre l’età dell’oro, per l’uno e per l’altro. Un richiamo psicologicamente irresistibile. E peccato che oggi pesino nelle urne meno della metà di quando fu il tempo dell’"avvocato del popolo”... Per muovere il suo pezzo sulla scacchiera, Conte ha atteso quello che gli è parso il momento migliore, ed ha colto l’attimo. Ha immaginato quel che le ruvide dichiarazioni di Trump avrebbero determinato nei due campi: a destra, la difficoltà di Meloni e Tajani a schierarsi d’improvviso con Putin; nel centrosinistra (teoricamente la sua parte) un’accelerazione della difesa di Kiev e – dunque – delle ragioni della guerra. Ed ha rotto gli indugi. Davanti a sè ha visto una prateria, politicamente occupata dal solo Salvini. Non ci ha pensato due volte.Nemmeno la spregiudicatezza, naturalmente, può sorprendere: ognuno ha i suoi trascorsi, e quelli di Conte raccontano di una qualche predisposizione ai rapidi cambi di campo. Colpisce, piuttosto, il corto respiro di un’operazione che – se ognuno tirasse le inevitabili conseguenze – rischia di avere per i Cinquestelle conseguenze catastrofiche: ritrovarsi nel giro di poche settimane senza alleati e senza più nemmeno una guerra da osteggiare. Certo, avrebbero recuperato un rapporto con la Russia di Putin e l’America di Trump. E forse con Salvini. Finalmente, come si dice, una scelta chiara