Corriere della Sera, 21 febbraio 2025
La famiglia naturale non esiste, dice Chiara Saraceno
Per la nostra Costituzione, la famiglia è «una società naturale fondata sul matrimonio». L’espressione è ambigua. Come può un istituto giuridico, storicamente definito e mutevole, fondare un fatto naturale? Semmai dovrebbe essere il contrario. Secondo Chiara Saraceno, l’articolo 29 della Costituzione è un «meraviglioso ippogrifo concettuale», una creazione di fantasia che, mescolando aspetti biologico-naturalistici e istituzionali, è stata nel tempo fonte di tensioni e paradossi. E che a tutt’oggi impedisce alle coppie omosessuali quell’accesso al matrimonio che è già realtà in molti altri Paesi.
La più nota e autorevole sociologa del nostro Paese (e non solo) ha ribadito questa posizione in un interessante libro-intervista con Maria Novella De Luca, in uscita oggi da Laterza. Partendo dalla famiglia, il testo, che si legge d’un fiato, tocca i principali temi di cui Saraceno si è occupata nel tempo e insieme ricostruisce la sua brillante carriera come sociologa accademica, studiosa orientata alle policies e, non ultimo, come intellettuale pubblica.
Dunque, La famiglia naturale non esiste, come dice il titolo del libro. È una costruzione culturale le cui forme e contenuti differiscono nel tempo e nello spazio, come dimostrano decenni di ricerche storico antropologiche. Ovviamente non si può trascurare il fatto che si nasce sempre da un corpo femminile e che quei nove mesi di coesistenza intima siano rilevanti sia per la madre sia per i figli. Occorre tuttavia prendere atto che ci possono essere diversi modelli di famiglia e dunque aprirsi al pluralismo di forme e contenuti, nel rispetto della libertà e della dignità di ciascuno. Saraceno osserva come l’accettazione delle coppie dello stesso sesso sia ormai piuttosto ampia in Italia, vi sono però ancora molte resistenze al riconoscimento della filiazione, in particolare per le coppie omosessuali maschili.
Lo studio della famiglia ha portato Saraceno a occuparsi di molte questioni trasversali, a cominciare dalla condizione delle donne e dal suo lato più oscuro, la perdurante violenza domestica. Se è vero che la cultura del rispetto e della parità si stanno finalmente radicando, soprattutto fra le nuove generazioni, la società italiana resta impregnata di modelli maschili misogini, mentre nella sfera del lavoro prevalgono ancora plateali asimmetrie di genere. Nei primi anni Novanta, Saraceno coniò l’ espressione «familismo ambiguo»: centralità della famiglia sul piano culturale e simbolico, ma assenza di sostegni pubblici adeguati per farla funzionare. Pur riconoscendo i progressi fatti da allora, Saraceno è convinta che nel nostro Paese la famiglia funga ancora da «gamba nascosta del welfare» e centro di mediazione per le condizioni e le prospettive di vita dei suoi componenti. Gli anziani si aspettano che i figli si facciano carico delle loro fragilità, mentre i figli si aspettano che i nonni si occupino dei nipoti. Un indicatore di forza e solidarietà, certo, ma anche un fattore che crea disparità e riduce l’autonomia. La demografia ha reso la famiglia sempre più lunga (compresenza di più generazioni) e più stretta (meno fratelli e cugini). I sostegni pubblici introdotti negli anni non hanno realmente favorito una sana de-familizzazione delle funzioni di cura, rafforzando invece il modello «autarchico» e quasi onnipotente della famiglia. Il che spiega la persistenza, dura a morire, di vecchie pratiche sociali basate sulla coppia parentela-clientela.
Come cambiare le cose? Nel dialogo con De Luca, emergono molte proposte, che rispecchiano anche l’imponente lavoro svolto da Chiara Saraceno in numerose Commissioni d’inchiesta e gruppi di lavoro governativi. Il Leitmotiv della sociologa è la costruzione di un welfare più universalistico, equo ed efficace. Richiamandosi alle migliori esperienze straniere, Saraceno auspica ad esempio una pensione di garanzia uguale per tutti, per contenere l’effetto penalizzante della riforma Fornero sulle carriere discontinue. Laddove le differenziazioni categoriali sono già state ridotte (come nel caso della disoccupazione o dell’assegno unico), Saraceno propone un’accurata revisione normativa per eliminare distorsioni e iniquità.
Parole molto critiche sono poi riservate al «marcia indietro» del governo Meloni sul reddito di cittadinanza: il nuovo assegno d’inclusione ha infatti reintrodotto una forma di categorialismo basato sulla composizione familiare e ristretto il raggio della rete di sicurezza contro povertà ed esclusione. L’universalismo ha poi ancora molta strada da fare nel settore dei servizi sociali, in particolare per l’infanzia e la non autosufficienza.
Il dialogo si chiude con un misto di pessimismo e ottimismo. C’è da un lato il rammarico per la scarsa sensibilità al sapere empirico da parte della classe politica e la sua propensione al semplice «galleggiamento». Dall’altro lato, Saraceno esprime fiducia per una società civile che non si rassegna allo status quo, che opera con passione per il cambiamento, con una grande capacità di non darsi per vinta. Si tratta, del resto, delle qualità che hanno sempre distinto Chiara Saraceno nella sua brillante biografia, nei rapporti con colleghi, studenti ed amici. E soprattutto nel suo infaticabile impegno scientifico e pubblico, che ha lasciato molte riconoscibili impronte sulle politiche sociali italiane.