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 2025  febbraio 21 Venerdì calendario

I neoborbonici sono ridicoli

Caro Aldo,
ho letto la sua pseudo intervista a Roberto Andò. Lei non perde occasione per mettere in cattiva luce il Sud. Lei mitizza una impresa finanziata solo perché il Regno Sabaudo era in dissesto e aveva bisogno dei soldi, dopo la disastrosa campagna di Crimea (fatta solo da Cavour per potere sedere alla tavola dei vincitori) ma lei nulla dice mai sulle malefatte di Cavour. L’invasione della Sicilia fatta da gente di dubbia moralità, raccattata nelle carceri bergamasche. Ma cosa ci si potrebbe aspettare dal mercenario dei due mondi che comandava? Uno che aveva partecipato alla Giovine Italia di Mazzini che voleva un Italia libera e Repubblicana. Che dire? Un Nizzardo traditore. Senza il supporto economico e passivo dell’Inghilterra (con le due navi piazzate strategicamente davanti a Palermo solo perché stavano aprendo il canale di Suez) per evitare che i Borboni colpissero le navi dei pirati bergamaschi che erano lì solo per soldi e la loro libertà. Ma lei sempre deve sostenere che eravamo arretrati. Nega che questa spedizione fu fatta per i soldi. Il Piemonte non contava nulla, e il suo giullare era solo un affarista tiranno. 
Leopoldo Fumarola 
Caro Leopoldo,
pubblico quasi integralmente la sua lettera perché mi colpisce il livore anti-italiano che trasuda dal suo pensiero e in genere da quello del movimento neoborbonico. Io non odio il Sud, al contrario lo amo. Per questo non amo il pensiero dei neoborbonici, che suona consolatorio – «la colpa dei nostri mali non è nostra bensì del Nord invasore» – ma è controproducente: perché se la colpa è di altri italiani, non ci si può fare nulla. E non amo neppure la tecnica dell’attacco personale; si combattono le idee, non le persone (il leader dei neoborbonici, Gennaro De Crescenzo, è una persona deliziosa). Il Risorgimento non fu una guerra di conquista, fu un movimento politico, artistico, culturale che coinvolse Verdi e Manzoni, D’Azeglio e Gioberti, e molti uomini del Sud, uomini di pensiero come Luigi Settembrini e d’armi come Guglielmo Pepe. L’Italia unitaria era un Paese certo arretrato e ingiusto; ma il Risorgimento segnò anche la fine dei ghetti e delle forche, dell’assolutismo e del potere temporale del clero, e l’inizio della lunga marcia della democrazia e dei diritti civili.
Oggi Napoli è una città in crescita, questo è sotto gli occhi di tutti. Non riapriamo antiche ferite, non torniamo a pensare in termini di «noi» e «loro». Il sindaco di Torino si chiama Lo Russo, il sindaco di Bologna Lepore, il presidente dell’Emilia-Romagna De Pascale. Ormai ci siamo mescolati tra noi. Sto rileggendo un bel libro di Fabrizio Rondolino, «L’Italia non esiste», pubblicato in edizione aggiornata da Piemme. Condivido in parte il pessimismo dell’autore. Forse però potremmo concludere che ormai l’Italia è stata fatta, e pure gli italiani. Forse non siamo venuti granché. Però è l’unica Italia che abbiamo. Non è mai troppo tardi per renderla, come sognava De Gasperi, più giusta e più umana.