Corriere della Sera, 21 febbraio 2025
Il Papa potrebbe dimettersi
«Nel cosiddetto “testamento” della Seconda Lettera a Timoteo, San Paolo considera la propria vita e dice: sto per essere versato in libagione, cioè mi sono consumato tutto, goccia per goccia, ho combattuto la buona battaglia, ho concluso la corsa e, proprio per questo, è giunto il momento che io sciolga le vele. Ecco, questo potrebbe essere il simbolo ideale non solo per i Papi ma per ogni cristiano, anche per i non credenti. Pensi quanti genitori hanno fatto così, nella vita, e se ne vanno tranquilli». Il cardinale biblista Gianfranco Ravasi ne parla con altrettanta tranquillità anche se l’argomento, nonostante Benedetto XVI, tende a essere ancora un tabù.
Eminenza, pensa che Francesco possa decidere di dimettersi?
«Io credo di sì. Se dovesse avere delle difficoltà gravi a svolgere il suo servizio, farà la sua scelta. Sarà lui a decidere, com’è ovvio, magari chiederà consiglio ma l’ultima parola la valuterà da sé, in coscienza. Fermo restando che il suo grande desiderio è quello di compiere almeno il Giubileo, l’anno santo dedicato alla speranza che sente come il suo grande momento».
Ratzinger ha aperto la possibilità, ma Francesco ha sempre detto che si governa con la testa e non con le gambe...
«Ricordo quando Benedetto XVI me lo disse, una decina di giorni prima di dare l’annuncio. Dovevo predicare gli Esercizi spirituali alla Curia e lui mi chiese di non tener presente la questione della rinuncia al pontificato nelle meditazioni, come fosse una cosa normale. Con grande semplicità, mi disse che la mente andava bene ma era il corpo a non farcela più. Un Papa deve sostenere un’agenda fitta di incontri, di viaggi, e lui sentiva di non essere più in grado».
Potrebbe capitare anche a Francesco?
«La prima considerazione da fare è che lui, anche nelle difficoltà legate all’età e al fisico, ha continuato ad avere una presenza unica nel pianeta, come forse solo Giovanni Paolo II, la sua voce e la sua azione sono riconosciute da credenti e non credenti. In questo senso è esemplare il viaggio così lungo e impegnativo che ha compiuto a settembre in Asia e Oceania, nonostante la carrozzina, nonostante tutto. E stata una grande lezione, come quella degli atleti delle Paralimpiadi. Ha mostrato che si può fare tutto anche nella fragilità».
E allora?
«Si tratta di capire cosa accadrà in futuro. Del resto, lo stesso Francesco ha spiegato di aver già firmato una lettera di dimissioni all’inizio del pontificato, come già Paolo VI. Da quello che si è saputo, ora subentra una difficoltà strutturale che riguarda una funzione vitale fondamentale come il respiro. Una cosa è il ginocchio, ma se uno sente che il corpo intero è in difficoltà è diverso. Tra l’altro, è notevole che le sue condizioni siano state spiegate con chiarezza. Una volta nei confronti delle autorità supreme c’era la tendenza a nascondere, come i bollettini sovietici nei quali il segretario aveva il raffreddore finché moriva. Adesso si entra nel dettaglio: l’“infezione polimicrobica”, la “polmonite bilaterale”. Indicazioni molto precise che mostrano un elemento indubbio di fragilità, in una persona anziana, pur tenendo conto della sua carica vitale, della capacità di reagire».
Le risulta altro?
«Ma no, le indicazioni sono quelle dei bollettini. Dato che viviamo in tempi nei quali l’infosfera, la comunicazione globale è decisiva, si è creata una vera e propria bolla mediatica che ha cercato di andare oltre le indicazioni realistiche che anche noi abbiamo».
In questi giorni abbondavano voci false...
«Si è costruita una forma di architettura ideologica. Martedì sera uscivo da porta Sant’Anna dopo una lectio sulla Lettera ai Romani in Basilica, era ormai molto tardi e c’era un giornalista che mi fa: allora è venuto anche lei a vedere il ritorno del Papa a Santa Marta? Era girata voce che ormai la situazione di Francesco fosse disperata, non ci fosse più nulla da fare e lo riportassero a morire in casa».
Perché accade?
«Soprattutto in Rete e nei siti americani c’è una forte corrente anti-Bergoglio: anche se non è mai esplicita, si mostra evidente un’attesa di mutamento che si esprime anche attraverso le fake news. C’è una polarizzazione forte. Del resto, la tensione tra visioni ecclesiali contrapposte non è un fenomeno di oggi. Fin dalle origini cristiane è un elemento abbastanza strutturale, costante. Nella Lettera ai Galati, Paolo scrive: “mi opposi a Pietro a viso aperto perché aveva torto”. Però lo riconosce come “colonna”, il Pontefice deve restare il riferimento».