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 2025  febbraio 21 Venerdì calendario

La guerra e il pudore perduto

Uno spettro si aggira per l’Europa: l’irrilevanza. Ormai è qualcosa di più di un’ombra. Il secondo Trump ci ha messo meno di un mese a dargli corpo e consistenza: Ue fuori dai negoziati per una qualche forma di fine guerra in Ucraina, Ue fuori dalle stanze dove si deciderà il dopo Gaza. La tristezza della tavola rotonda all’Eliseo con 11 leader di un’Unione mai così disunita dà la misura del disorientamento in atto. Con brutale evidenza, il nostro primo e storico alleato è diventato improvvisamente, se non ostile, almeno indisposto a considerarci fratelli. Ci ha declassato da interlocutori privilegiati a partner con cui fare affari, usando l’arma dei dazi come discrimine tra nazioni amiche e quelle meno: dazi variabili, a seconda del tasso di obbedienza. Ha indirettamente legittimato sberleffi nei nostri confronti, tipo quello volgare di un vice Putin, Dmitrij Medvedev, che ha bollato l’Europa come «una frigida zitella, pazza di rabbia e di gelosia» perché esclusa dalle grandi manovre in corso tra la nuova America di The Donald e la vecchia Russia di zar Putin. 
Il 24 febbraio saranno tre anni da quando il Cremlino ha iniziato l’invasione del Donbass, con quella che definì «operazione militare speciale» ai danni di un Paese, l’Ucraina, che è il più grande ospitato almeno in parte sul suolo europeo. Tre anni nei quali abbiamo dato di tutto e promesso di più a Zelensky, baluardo della resistenza alle prepotenze di Mosca.
Proprio lui che sarà la prima, anzi l’ultima vittima, di un accordo di resa che prevede nel prologo la sostituzione di chi comanda a Kiev. Bontà sua, il segretario di Stato americano, Marco Rubio, ha assicurato che «a un certo punto l’Europa siederà al tavolo dei negoziati». A un certo punto. Ma la strada è segnata, il patto Washington-Mosca di fatto taglia fuori Bruxelles e fa strame proprio di quella Ue che ha sostenuto più di ogni altro la resistenza di Kiev (132 miliardi di euro, contro i 114 degli Usa). Soprattutto cancella dal saldo le centinaia di migliaia di morti da entrambe le parti, i milioni di esuli ucraini, le centinaia di abbracci e pacche sulle spalle e solenni impegni che il presidente Zelensky ha collezionato da quando tutto è cominciato. Ora è proprio lui, il leader con magliette e felpe da soldato in trincea, il bersaglio del nuovo corso imposto al mondo da chi si arroga il potere di determinarlo, senza perdere più tempo con diplomazie, diritti internazionali fino a ieri almeno a parole condivisi, faticosa ricerca di accordi con le troppo lente e deboli democrazie occidentali. Si procede per le vie brevi, storcendo anche la Storia, quando serve e senza il minimo pudore verso la realtà delle cose. Trump: «Zelensky non avrebbe mai dovuto iniziare questa guerra». Che è come dire che le colpe dell’invasione della Polonia da parte di Hitler nel 1939 furono dell’allora presidente polacco Ignacy Moscicki. Rincara le dosi l’ineffabile e rinvigorito Putin: «Disposti a negoziare col presidente ucraino a condizione che venga rinominato attraverso legittime elezioni». Il mandato di Zelensky è scaduto nel maggio 2024, ma chi garantirà «legittime elezioni» e in che condizioni? A conflitto ancora in corso? Dopo la resa a Mosca? Ma ormai sembra valere tutto, anche perché il terzo lato di questo triangolo scaleno, cioè l’Europa, balbetta proteste o addirittura si schiera a favore dei cavalieri del Mondo Nuovo. L’esempio forse più plateale è quello di Matteo Salvini, che ha indicato Trump, fresco ideatore anche dell’idea di prendersi Gaza togliendola ai palestinesi e facendone un resort, come meritevole del Nobel per la pace. È lo stesso Salvini, vicepresidente del Consiglio italiano, che in una riunione a Madrid con i rappresentanti della destra continentale più spinta ha lanciato lo slogan «meno Europa, più libertà». A dargli man forte, il premier ungherese Orbán: «Gli equilibri sono cambiati in due settimane. Se prima ci consideravano eretici, oggi siamo noi il mainstream». E quel «noi» comprende i 14 partiti che formano l’area dei Patrioti, ormai terza forza del Parlamento di Strasburgo. 
Corrosa all’interno dai sovranisti, scossa nelle fondamenta dall’accelerazione centrifuga imposta da un capo di Stato con pretese di diventare capo di Stati, appesantita dai molti errori che ne hanno segnato il cammino e dalle troppe riforme mai realizzate, l’Europa non è mai stata così vicina al rischio di smettere di essere un soggetto politico rilevante per diventare un insieme di nazioni, spesso in conflitto tra loro, come lo era prima del marzo 1957, Trattati di Roma, atto di nascita di qualcosa di diverso da un’entità geografica. Il destino prossimo venturo dell’Ucraina, se deciso altrove e in spregio ai nostri principi fondativi, potrebbe diventare lo spartiacque tra l’essere il continente della manutenzione delle democrazie e il diventare una terra di conquista per chi ha evidenti mire di espansione, trasformando i partner in vassalli, come vorrebbe la stessa America o l’incombente Cina e persino la riabilitata Russia.
L’allarme l’ha appena suonato anche Mario Draghi, dall’alto della sua lunga e alta militanza europeista: «Di fronte al nuovo contesto attorno alla Ue, e alle sfide che ci attendono, la risposta deve essere rapida perché il tempo non è dalla nostra parte e la nostra economia ristagna mentre in gran parte del mondo cresce. Dobbiamo agire sempre di più come se fossimo un unico Stato». I parlamentari in rappresentanza dei 27 Paesi dell’Unione, presenti ad ascoltarlo a Bruxelles, hanno gentilmente applaudito. Per convinzione o per cortesia? 
Siamo a un momento fatale della Storia, sicuramente della nostra come cittadini europei. E come ogni momento fatale, anche questo comporta decisioni nette. Una, la principale, l’ha sintetizzata il presidente Mattarella da Marsiglia, per una laurea honoris causa: «L’Europa può accettare di essere schiacciata tra oligarchie e autocrazie, con al massimo la prospettiva di un vassallaggio felice? Bisogna scegliere: essere “protetti” oppure essere protagonisti». Gli insulti e le minacce che Mattarella ha ricevuto da Mosca per aver paragonato la recente invasione dell’Ucraina a quella della Polonia da parte del Terzo Reich non hanno ricevuto un sostegno adeguato, neanche in Italia. E anche questo è un segno che rafforza le preoccupazioni. Come se non fosse a tutti chiara la vera posta in gioco. O forse perché per qualcuno è già chiarissima. C’era una volta Slava Ukraini.