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 2025  febbraio 20 Giovedì calendario

Covid, il sindaco leghista Passerini difende i vaccini: “Magari fossero arrivati prima a Codogno”.

Il ricordo del primo cittadino nel quinto anniversario dello scoppio della pandemia e nei giorni del colpo di spugna del centrodestra delle multe ai no vax: “Con dolore firmai il primo lockdown in Italia, la penna pesava, ma fu giusto” Venerdì 21 febbraio, domani, è il giorno in cui a Codogno nel lodigiano, si ricordano le vittime del Covid e però si celebra anche la “comunità resiliente”. Francesco Passerini, il sindaco di Codogno, ci tiene molto a questo concetto: “Resilienza è la capacità di non deformarsi sotto l’effetto dei traumi”. Quello che gli abitanti di Codogno sentono di essere riusciti a fare.
Passerini è un leghista di chiara fede, ma con alcuni capisaldi: la fiducia nella scienza e nei vaccini. “Strizzare l’occhio ai no vax? Ne faccio una questione di principio: i vaccini servono a tutelare. Punto. Noi a Codogno abbiamo avuto un tasso vaccinale alto per il Covid, la quasi totalità della popolazione. E lo sarebbe stato anche di più se il vaccino fosse arrivato prima. L’ottica è quella di salvare la popolazione, i vaccini servono e questo è un principio che non si può mettere in discussione. La scienza e i vaccini tutelano, salvano vite. Il resto è polemica”.
Sono passati 5 anni dal primo caso di Covid in Italia: si ammalò a Codogno Mattia Maestri. Nessuno sapeva cosa fosse. La dottoressa Annalisa Malara lo scoprì facendo il primo tampone. È una storia ormai vecchia?
“È un giorno indimenticabile. Sono passati 5 anni ma per me sono come un soffio di vento”.
Nelle sue mani fu la responsabilità del primo lockdown?
“Sì. La penna mi pesava come un bilanciere. Il ricordo di chi non c’è più è ancora forte. Sono scomparse tante persone nel giro di poco tempo senza avere la possibilità di accompagnarle nell’ultimo saluto. È una cicatrice. Dimenticare è impossibile e non è neppure giusto”.
A Codogno raddoppiarono le morti?
“Do questo dato: a marzo del 2019 i decessi in una cittadina come la nostra erano stati 42, a marzo del 2020 furono 156: triplicarono”.
Vuole rievocare quei momenti?
“Era un giovedì sera, il 20 febbraio. Avevamo fatto tardi in comune per una discussione sul piano urbanistico. E quando abbiamo finito, io e un mio consigliere andiamo a bere una birra al bar. Mentre sono lì, si accende il display del telefonino. Vedo che è una chiamata del prefetto. Mi avverte: ‘Francesco, c’è il primo caso di Covid. È all’ospedale di Codogno’”.
Era Mattia Maestri
“Ma io ho saputo solo dopo di chi si trattasse, anche se conoscevo Mattia, c’era l’anonimato. Era tutto confuso, imponderabile. Io volevo metabolizzare i fatti e non creare allarmismo. Ci avevano detto che il pericolo era in Cina, che in Italia il rischio era zero”.
Quindi?
“Passai quella notte in bianco, cominciai a telefonare ad assessori regionali, amici, infermieri per cercare di capire la portata dei fatti. Il coordinatore della Croce Rossa di Codogno, Gian Paolo Montanini mi disse: ne stiamo portando via tanti, tanti. C’era una fila di ambulanze in attesa a Codogno che venivano smistate verso Lodi e trasportavano persone con criticità respiratorie”.
È a quel punto che scatta il primo lockdown d’Italia che lei decise?
“Alle 6:30 del mattino convoco la giunta per dire che avrei fatto un’ordinanza che chiudeva Codogno, il timore era che questa situazione drammatica esplodesse ancora di più di fronte a un nemico sconosciuto. Ma ero davanti a una decisione così grande. Alle 8:45 c’è l’ordinanza. Chiudere Codogno è stata la scelta più dolorosa. Mi sentivo solo e contro tutti”.
Oggi come la vede?
“Penso sia stata una scelta corretta”.
E i vaccini?
“Dobbiamo essere contenti di esserci e i vaccini, la scienza sono da tutelare perché sono il nostro scudo”.