la Repubblica, 20 febbraio 2025
L’ora più buia di Kiev: “Se non firmiamo la resa rischiamo sanzioni Usa”.
La popolazione è attonita di fronte al “tradimento americano” e alle “bugie” del nuovo inquilino della Casa Bianca KIEV – Volodymyr Zelensky lo sa e glielo dicono: «Non è finita qui». Ha le spalle al muro, è certo di aver perso il suo più grande alleato: il presidente americano lo ha ignorato, poi gli ha mostrato i muscoli. Ora lo sfotte dandogli del «comico che non fa ridere», lo delegittima come «dittatore» senza consensi. Troncata la missione a Dubai e Ankara senza raggiungere Riad, visto che americani e russi non lo hanno voluto al tavolo tra superpotenze, nel fortino di via Bankova i suoi uomini lo aggiornano sulle notizie che non si leggono in chiaro. E non sono buone: «Potrebbero sanzionarci», gli dicono.
La voce gira insistente: se non si deciderà ad abbandonare il suo status da eroe, da leader di un popolo aggredito che ha acquisito col suo sangue il diritto di decidere per se stesso; se non accetta di convertirsi ad alleato paziente e subordinato di Washington come Lukashenko fa con Putin, Trump è pronto a forzargli la mano. Se sarà necessario, armerà il siluro delle sanzioni contro di lui e il suo fortino.
Lo ha scritto persino Arestovych, l’ex consigliere dell’Ufficio presidenziale che nel 2023 è fuggito diventando un oppositore giurato del presidente: «Stanno valutando la possibilità di sanzionare l’entourage di Zelensky: Mindic, Shefir, Kolyubaev, Pishchanskaya. Le porte d’accesso al suo forziere». A Shefir e Timur Mindich lasciò le azioni delle sue aziende quando divenne presidente. Il produttore Kolyubaev è amico e socio del suo potente Richelieu, il capo dell’Ufficio presidenziale Yermak; e Svetlana Pishchanskaya, amica d’infanzia di Zelensky, ne gestisce gli affari in Italia.
Zelensky ha resistito all’armata rossa, ma non può difendersi dai marines. Nell’ufficio presidenziale sono convinti che sia questo il senso dell’attacco di Trump: non è più disposto a lasciare la poltrona centrale del negoziato al leader di un Paese di 30 milioni di abitanti che pretende di dettargli la linea. E la linea, rispetto a Biden «è cambiata solo nella tattica, non nella strategia», dice a Repubblica un economista molto noto, Oleksiy Kusch: «Entrambi hanno l’obiettivo comune di contenere la Cina, e la Russia ne è lo strumento. Ma Biden credeva che premendo su Mosca avrebbe rovesciato Putin e avvicinato la Russia all’Occidente. Trump, invece, ritiene che così si spingerà Mosca più vicina a Pechino e si rafforzerà Putin, e vuole evitarlo subito». Come? Disinnescando la crisi ucraina. Zelensky, per lui, con pretese come il “Piano per la vittoria” e la “Proposta di pace”, è un inciampo.
«Nell’ufficio del presidente sono spaventati e arrabbiati. È una situazione insolita – spiega il direttore dell’Istituto di Politica di Kiev, Ruslan Bortnik – e sono molto a disagio e scioccati». Le sparate roboanti di Trump, da quel «4% di popolarità» di cui accredita Zelensky ai «350 miliardi di dollari» la cui metà sarebbe sparita nel nulla, sono lontane dalla realtà. I sondaggi dell’Istituto di sociologia di Kiev danno «la sua fiducia al 57%». Sta salendo: «A dicembre era al 52%». Anche sui soldi i conti, secondo Kusch, sono diversi: «Gli Usa hanno dato il 30% di 120 miliardi di dollari, quasi tutti a fondo perduto, in aiuti al budget. Più un valore non facilmente computabile in armi e munizioni e in vecchi stock dai fondi speciali di Cia, Pentagono e Dipartimento di Stato: nemmeno loro sanno quantificarne il valore».
Ma a Kiev non hanno dubbi: l’attacco delegittima Zelensky per fargli capire chi distribuisce ora le carte. Il presidente ucraino chiedeva nuovi aiuti e proponeva lo sfruttamento congiunto delle terre rare? Trump gli ha sottoposto una proposta indecente e lo ha costretto a rifiutarla. E ci sono altri tre anni di richieste maturate durante la guerra che il Maga vuole far saltare: le concessioni territoriali e i confini del 1991; la Crimea e il “no” al congelamento della guerra; i «non si tratta» con «il criminale di guerra Putin» e la morsa sul dissenso, iniziata prima dell’invasione, che è nel mirino di Trump e dei suoi uomini: «Zelensky non può rappresentare la volontà del popolo ucraino se non ripristina la libertà di stampa e non indice le elezioni», twitta Elon Musk.
Sono ora nere e tese. L’Europa, divisa, non è sponda forte. Il Regno Unito non basta. Zelensky sfida Trump promettendo sondaggi comparati sulla fiducia. Gli ucraini in rete sono attoniti, i commenti mai così duri sul tradimento americano. Una deputata del partito del presidente, Mariana Bezugla, dice che gli Usa possono andare a quel paese come la nave russa dell’isola dei Serpenti. Ma Zelensky sa che non può fare a meno di Washington. La visita del generale Kellegg, inviato di Trump, per Kiev è solo un contentino e un diversivo.