Corriere della Sera, 20 febbraio 2025
Sinisa Mihajlovic, il fratello Drazen: «Gli ho donato il midollo, ma non sono riuscito a salvarlo. Dirlo a mia madre è stata la cosa più difficile».
Drazen Mihajlovic, il fratello di Sinisa, racconta alla Gazzetta dello Sport la malattia e la scomparsa dell’ex campione e allenatore:«All’inizio pensavamo fosse un’infiammazione per il padel. La notte che è morto gli sono rimasto accanto»
Sinisa Mihajlovic, il fratello Drazen: «Gli ho donato il midollo, ma non sono riuscito a salvarlo.
«So che non è colpa mia, ma non averlo salvato è una ferita che non si rimarginerà mai». Sono le parole, ancora piede di dolore, di Drazen Mihajlovic, il fratello di Sinisa, che oggi giovedì 20 febbraio avrebbe compiuto 56 anni, morto il 16 dicembre 2022 a causa di una leucemia. Nell’intervista alla Gazzetta dello Sport, Drazen racconta come è stata scoperta la malattia e tutto il dolore della scomparsa dell’ex difensore e allenatore: «Ero in Sardegna con mio fratello, Arianna e tutta la sua splendida famiglia, quando una mattina dopo essersi alzato non riusciva neanche a camminare. Io lo prendevo in giro: “Sembri un vecchio di 90 anni...”. Pensavamo fosse uno stiramento o un’infiammazione perché aveva giocato a padel. E invece...».
«Ho dovuto dirlo io alla mamma, uno dei momenti più difficili»
E fu Drazen a informare la madre di cosa stesse accadendo: «Fu uno dei momenti più difficili della mia vita. Mamma è sempre stata una roccia, ma neanche la donna più forte del mondo può resistere al dolore dell’idea di poter perdere un figlio, come purtroppo è avvenuto. Il coraggio e la forza fisica e di volontà di mio fratello sono stati incredibili. È rimasto sempre positivo, pronto a combattere, convinto di farcela».
Il midollo a Sinisa per il secondo trapianto è stato dato proprio da Drazen, che si lacera dal dolore per non essere riuscito a salvarlo: «Sembrava aumentasse le possibilità di riuscita», ha ricordato.
Mihajlovic è stato molto amato: «Me ne sono accorto il giorno del funerale seguendo il feretro: le strade chiuse, la gente fuori, personaggi non solo sportivi ma della vita politica e pubblica in Italia. È stata una incredibile dimostrazione di affetto. Io ora continuo la mia vita con mia moglie e i miei due figli a Novi Sad. Sto con mia madre, vado spesso a Roma a trovare Arianna e i miei nipoti e poi curo tutte le iniziative possibili per celebrarlo. L’ho promesso a Sinisa: il giorno che se ne è andato sono rimasto tutta la notte con lui. Ho detto quello che tra uomini non ci si dice mai».
«A sei anni Sinisa si occupava di me»
Sinisa ha fatto un po’ da padre a Drazen: «Avrà avuto forse sei anni, io appena due. I miei andavano a lavorare presto e non c’erano soldi per la tata e per consentire a Sinisa di andare all’asilo, così a me la mattina dopo le 6 doveva pensare lui. Per cui usciva di casa, mentre io ancora dormivo, e andava a comprare il latte e il pane per la colazione, ma nonostante facesse già cose da adulto era solo un bambino con tutte le paure di chi ha quell’età. Per cui quando tornava a casa si fermava spalle alla stufa fermo immobile con gli occhi sbarrati a guardare la porta di casa per paura che entrasse qualcuno. Credo che vincere la paura sia stato un esercizio che ha imparato allora. Il ricordo solo mio, invece, non riguarda un episodio, ma il rumore delle pallonate che per intere giornate Sinisa scagliava contro la serranda del garage fuori dalla nostra casa. Parecchie volte ha costretto a cambiarla. Mirava agli incroci. Le sue punizioni vincenti sono nate lì, calciando da solo decine di migliaia di volte e facendo imbestialire il nostro vicino, il signor Dragan».
Poi le strade per i fratelli Mihajlovic sono state diverse. Sinisa calciatore, Drazen poliziotto: «Il calcio non faceva per me. Credo che in Italia non si sia mai capito cosa sia stato Sinisa per il nostro Paese pur avendo giocato poco qui. Lui è un mito assoluto, non solo per i tifosi della Stella Rossa e per la vittoria della mitica Coppa Campioni del 1991. La semifinale contro il Bayern con un suo gol qui è considerata tra le partite di sempre».
Infine, gli orrori della guerra: «Mio cugino croato, figlio del fratello di mamma, voleva far saltare casa nostra a Borovo con i miei all’interno durante la finale contro l’Olympique. Non lo fece solo perché con gli zii in casa c’era anche suo fratello. Pipe, un amico fraterno di Sinisa, sempre croato, la distrusse, ma solo per spaventare i miei e costringerli a scappare altrimenti sarebbero potuti morire. Chi ha visto l’orrore non può dimenticarlo».