Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  febbraio 20 Giovedì calendario

Ezio Greggio parla del suo nuovo spettacolo

Il conduttore, regista e attore racconta «Una vita sullo schermo» nel suo «one man show» a teatro zio Greggio, è pronto? «Siamo nati pronti...». E così, dopo Una vita sullo schermo, Ezio Greggio si sposta fra il pubblico. Lo fa portando al Teatro Dal Verme di Milano, domani sera 21 febbraio, il suo one man show: cento minuti in cui ricorda, racconta, mostra, imita, scherza, intrattiene. Insomma fa tutto ciò a cui ha abituato gli spettatori in «40 anni di Tv cinema e storia italiana», dagli esordi nel 1978 su Telebiella (lui è nato a Cossato il 7 aprile 1954, lo stesso anno della prima trasmissione sulla Rai) fino alle migliaia di puntate di Striscia la notizia in coppia fissa con Enzo Iacchetti. Dopo Milano lo show, firmato da Greggio (anche regista), Marco Salvati e Armando Vertorano e prodotto da Stefano Francioni Produzioni, si sposterà anche a Roma (27 marzo, Auditorium Conciliazione) e a Torino (1 aprile, Teatro Alfieri).
Ezio Greggio, com’è questa Vita sullo schermo?
«Fantastica. Ma questa volta esco, come in un film di Woody Allen, e vado a incontrare il pubblico».
Ma lei già da ragazzo voleva fare il comico?
«È una passione che ti deve afferrare fin da giovane. In tv vedevo i grandi comici, Sordi, Manfredi, Tognazzi, Gassman, Vianello, Mondaini, e ne parlo nello spettacolo perché poi molti li ho incontrati. Quando ho iniziato a lavorare in tv era l’epoca dei grandi conduttori, da Mike a Pippo Baudo. Poi c’è Hollywood, con le star che ho conosciuto e con cui ho lavorato. E ci saranno delle sorprese».
Di che genere?
«Non posso fare nomi, ma sul palco arriverà una conduttrice che fa C’è posta per te e che somiglia molto a Maria De Filippi. E poi un ex presidente americano, Joe Biden».
Gli incontri più importanti per lei?
«L’insegnamento più grande, con la collaborazione reciproca che ne è scaturita, sicuramente è arrivato nell’83, quando a Mediaset ho incontrato Antonio Ricci: da lì sono nati Drive In, Paperissima e Striscia. Lavoriamo insieme da quarantadue anni: è una lunga storia d’amore. Come, al cinema, quella con Carlo e Enrico Vanzina».
Il primo film?
«Yuppies, nel 1986. E poi il seguito Yuppies 2. Negli Stati Uniti invece ho incontrato Mel Brooks, un mito per me, e siamo diventati amici, anche con sua moglie Anne Bancroft, che aveva vinto un Oscar».
Il regista di un cult come Frankenstein Junior...
«Stare con lui è veramente meraviglioso. È come me... Lo è sempre stato e lo è ancora, a 98 anni: l’ho visto qualche mese fa e in primavera andrò a trovarlo a Los Angeles. Mi ha insegnato l’arte della farsa e della gag, e l’allenamento costante a fare battute: non perde mai occasione per scherzare, non l’ho mai visto del tutto serio. È stata una lezione importante per me, come quella di John Landis, un altro grande amico. Insomma è un tessuto ampio da cui ricamo questo show, che dalla tv al cabaret ai film passa per la storia d’Italia, inclusi Biden, Trump, Musk e Sanremo».
Le è piaciuto il Festival?
«Preferisco dirlo domani, così non mi denunciano prima. Carlo è un amico e ha fatto una cosa fantastica, il suo successo è indiscutibile; ma io parlo dei cantanti e della mia visione...»
A proposito di denunce, ormai in giro c’è una certa suscettibilità: i comici hanno vita dura?
«Per me il politicamente corretto non esiste. Lo dichiaro sempre, prima dei miei spettacoli. Vuoi denunciarmi? Chissenefrega. Striscia ha preso migliaia di denunce e ha sempre vinto. Credo che la satira sia a 360 gradi, nei confronti di tutte le aree politiche: non puoi portare rispetto, devi essere irriverente. E, se a qualcuno non va, pazienza. C’è il diritto di satira, a cui mi appello, insieme all’articolo 21 della Costituzione».
Fa sempre gli scherzi?
«A Enzino... Fin da quando arrivò a Striscia. E ne abbiamo anche subiti, per esempio da Celentano. Questo è un mestiere che fai bene se sei allegro».
E le imitazioni?
«Sono un pittore impressionista: faccio l’imitazione non perfetta, bensì di sensazione. Al Dal Verme per esempio porto uno sketch dell’Asta Tosta: vendono ciofeche, finti gioielli e perle, ti rifilano della robaccia... per esempio ci sarà una splendida opera dell’esimio maestro Teomondo Scrofalo, il vecchietto ubriaco, proprio l’originale che portavo a Drive In».
Un programma storico?
«Sì. E i suoi tormentoni sono nella storia e nei ricordi del pubblico. Basta dire Has Has e tutti: Fidanken. Oppure il classico: È lui o non è lui?. Era l’epoca dei tormentoni e ha colpito».
Chi ricorda di più?
«Ah, Gianfranco D’Angelo. Tutti lo ricordano con affetto. Ho cominciato in Rai nel ’78 con lui, poi siamo passati a Drive In e c’era una grande amicizia, come con Giancarlo Nicotra, che mi portò a Mediaset e da Ricci».
E il suo «compagno» in tv?
«Enzino Iacchetti è un altro fratello. Ci sono affetto e stima reciproca. Finiremo per fare qualcosa insieme in teatro, per suggellare la nostra storia».
Veramente lunga.
«Non abbiamo mai litigato, a parte su Juve e Inter. Il nostro segreto è il piacere di stare insieme: appena ci vediamo, ridiamo. Nei fuorionda, io gli facevo uno scherzo, lui rideva, io anche, e via così... E Ricci, che è ligure e non butta niente, teneva tutto per Paperissima».
Chi è passato a Striscia?
«Tantissimi. Venne anche Vittorio Gassman. Io annunciavo già le veline facendo la sua imitazione e lui, che era simpaticissimo, mi disse: Ezio, devo chiederti un grande favore, posso lanciare io le veline? E lo fece, enfatizzando sé stesso. E, da allora, io mantengo il lancio ancora più gassmaniano... Poi, in una delle ultime interviste, gli chiesero chi fosse il suo erede; e lui, che era così gentile e ci guardava sempre, disse: ne ho due, si chiamano Greggio e Iacchetti. Quella dichiarazione l’abbiamo conservata».
I film dei Vanzina sono stati tanto criticati, ma oggi sono al centro di un revival?
«Eh, la critica... Da Totò in poi, i critici stroncavano i film e il pubblico li amava. I Vanzina rimangono, così come Yuppies: è un cult, ed è la testimonianza di un momento storico preciso. Come Lockdwon all’italiana, che ho fatto nel 2020 con Enrico. Le commedie sono polaroid eterne di certe epoche».
Per questo a Montecarlo ha creato un Festival della commedia?
«L’ho fondato 21 anni fa con Monicelli. È dedicato solo alla commedia e ha visto passare grandissime star e registi, Lelouch, Kusturica, Costa-Gavras, John Landis, Ettore Scola, lo stesso Monicelli...».
Che cos’è far ridere?
«È tutto. Un’eredità che ho ricevuto dai miei genitori: riuscire a trovare il modo di sorridere e, soprattutto, far sorridere. Non c’è niente di più bello, specialmente in tempi bui come questo. Anzi speriamo che Trump, fra un dazio e l’altro, aiuti a porre fine alla guerra. Comunque ridere è terapeutico: fa bene alla salute fisica e mentale».
Ma quante puntate ha fatto di Striscia?
«Quattromila e quattrocento, circa... Ho detto a Ricci: ne faccio altre quattromila e quattrocento e poi, forse, mi fermo un attimo»