La Stampa, 20 febbraio 2025
“I due rimpianti di zia Oriana, l’amore e l’intervista mancata a Marilyn”
«Tutto è partito da un corto, realizzato da una giovane studentessa a Londra come tesi di laurea. A cup of coffee with Marilyin il titolo, e ruota attorno alla famosa intervista mancata a Marilyn Monroe. Alessandra Gonnella, giovane regista veneta, mandata evidentemente da Oriana, bussò alla porta della mia casa a Milano e mi accusò di non aver risposto alle sue mail.
«Voglio il permesso di utilizzare l’articolo su Marilyn Monroe per la mia tesi alla London Film School», mi disse infuriata. Non solo mi ha convinto subito, ma ha convinto Miriam Leone a indossare i panni della giovane Oriana».
Edoardo Perazzi, figlio di Paola e nipote di Oriana Fallaci, erede designato della grande giornalista, custode della sua memoria e dei suoi straripanti archivi, è consulente della serie tv Miss Fallaci.
La prima puntata, con la regia di Luca Ribuoli, Giacomo Martelli e Alessandra Gonnella (la laureata a Londra, oggi trentenne) è andata in onda su Raiuno.
«Il progetto è partito quasi sei anni fa – racconta alla Stampa Edoardo Perazzi – dopo il corto girato a Londra da Alessandra con Miriam Leone. A cup of coffee with Marilyn l’ha fatta laureare a pieni voti e l’ha portata in giro per i festival e vincere il Nastro d’argento a Venezia e il MIA a Roma. Aiutata dal giovane produttore della Redstrings, Diego Loreggian, è riuscita a convincere Paramount Television e Minerva Pictures ad acquistare i diritti e a realizzare la serie».
La Rai ha creduto subito al progetto Miss Fallaci?
«Ci sono state un po’ di traversie, la serie è stata messa in vendita in vari Paesi. La Rai ha fatto un bel lavoro, anche se il doppiaggio in italiano fa perdere molto senso. Non si capisce perché Oriana, che non sapeva una parola d’inglese, abbia bisogno di un interprete a New York visto che tutti parlano in italiano. Molte sfumature, anche con Orson Welles nel party da Joseph Cotten, si perdono. La serie è girata metà in inglese e metà in italiano, ma anche in Spagna è stata integralmente doppiata in spagnolo. Gli altri Paesi la mandano in onda in versione originale con i sottotitoli».
Quante puntate saranno?
«Sono otto in tutto, la Rai manda in onda due puntate a serata. Quindi quattro serate. Miss Fallaci arriva agli anni Sessanta, un periodo di cui si sa poco della vita di Oriana. La famiglia voleva proteggerla in quegli anni, e lei ha sempre vietato che si ripubblicassero i suoi articoli dell’epoca. Sono tre i libri che hanno fatto da ispirazione: I sette peccati di Hollywood, Penelope va alla guerra, e la biografia curata da Cristina De Stefano, che scoprì il carteggio con Alfredo Pieroni».
Il giornalista scafato che Oriana conosce sull’aereo per New York e poi gli dà buca al ristorante a Milano?
«Era il corrispondente da Londra della Settimana Incom Illusrrata, un uomo chic e una bella penna. Oriana perse la testa, dopo il primo pranzo mancato si rifarà ampiamente».
Già dal titolo si intuisce che l’intervista mancata a Marilyn ha avuto un grande impatto sulla sua carriera.
«È la cosa che le è bruciata di più. Nella sua vita ha mancato altre interviste ai grandi, papa Wojtyla, Yuri Andropov perché morì, Bill Clinton, Fidel Castro. Ma lei ammirava Marilyn Monroe, ci avrebbe tenuto moltissimo a raccontarla».
Sull’intervista mancata a Fidel c’è una vignetta di Staino, con Bobo che prende in giro Oriana all’Avana…
«Deliziosa, con lei che è seduta al bar, torva, e scatta subito quando arriva la telefonata da Fidel. Oriana si arrabbiò moltissimo, mi strappo’ di mano quel numero di Linus e lo fece in mille pezzi».
Manca l’inizio a Firenze, la lite con il direttore del Giornale del Mattino, che la spinse ad andare a Milano…
«La storia è un po’ più complicata. Oriana aveva ottenuto un colloquio negli anni del dopoguerra con il direttore de La Nazione, quotidiano che era nello stesso palazzo del Giornale del Mattino. Sbagliò piano e si trovò a colloquio con un altro direttore. Lui era democristiano, lei socialista, l’incompatibilità degenerò in fretta. Nella serie tv troviamo Oriana Fallaci già a Milano, giornalista in carriera. Fu lo zio Bruno, direttore di Epoca, che la aiutò all’ inizio».
Perché la serie si limita agli anni Sessanta?
«C’è la speranza di andare avanti nella produzione. La fiction racconta i primi anni di Oriana all’Europeo, quando era già una firma, ma si occupava solo di cinema e costume. In realtà è un espediente narrativo, perché lei si era occupata anche di politica ed era già temuta. Certo, con i direttori e i caporedattori del giornale continuò a battibeccare anche negli anni Settanta. Mi è dispiaciuto non aver inserito nella serie gli articoli sulla rivolta in Ungheria del 1956. Oriana cercò di andare a Budapest, fu cacciata dai russi al confine, ma scrisse tre articoli straordinari. Sembra di leggere pezzi sull’Ucraina di oggi, e anticipano i reportage dal Vietnam».
Chi è il direttore che pubblica i suoi articoli da Hollywood “con riserva”?
«Il mitico Giorgio Fattori, che poi passò alla direzione de La Stampa. Fu lui a lanciarla a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta. Ci sono un po’ di licenze poetiche».
Non è stato facile recuperare gli articoli di allora?
«Molto complicato, erano contenuti in grandi faldoni, senza copertina. Abbiamo recuperato anche quelli firmati con gli pseudonimi».
Ne aveva uno preferito?
«No, ne usava diversi. Sono didascalie e articoli brevi, spesso firmati con il nome Prati, la via dove abitava a Firenze».
La famosa palazzina dei giornalisti dalle parti di Porta Romana. Sa che sua zia in quella casa nascose per mesi Alekos Panagulis, quando era esule in Italia nel 1973?
«Ci sono tante storie legate a quella casa e al casale di Lamole. Così come pezzi firmati da Alfredo Pieroni da Londra, che sono chiaramente scritti da Oriana. Una volta mia zia mi scrisse un tema su Manzoni, ci presi 10 ma il professore d’italiano, che era il celebre Giovanni Pacchiano, mi disse che non era farina del mio sacco».