La Stampa, 20 febbraio 2025
A pranzo da Lucio Corsi, nella trattoria di famiglia
Castiglione della Pescaia. In questo angolo di mondo antico la luce scende quieta. Vorrà pur dire qualcosa. Qui è una Toscana diversa, dice Lucio Corsi, «di campi brulli e secchi, con mulinelli di polvere in mezzo alla piana e i trattori che la solcano accompagnati da dieci angeli custodi, che sono gli aironi. Ci volano sopra per andare a beccare i vermi che vengono fuori dalla terra smossa». Ed è qui che sta il suo mondo antico. È qui che lui ci riporta indietro nel tempo. Un casolare affacciato sulla strada, uno spiazzo di ghiaia e un albero accartocciato su se stesso. C’è un Sale e Tabacchi con la porta di legno e un velo trasparente morsicato dai venti. Sotto un terrazzo spoglio la scritta grande dice «Ristorante Macchiascandona». Per entrare scuoti i fili di plastica che pendono e s’attorcigliano come in quei bar degli Anni Sessanta. La sala è piena di clienti. Alle pareti ci sono appesi i quadri di Nicoletta, la mamma di Lucio. Accanto alla porta, sulla sinistra, c’è il ritratto di nonna Milena che prepara i tortelloni.E sulla destra, tre foto a scendere di lei che mescola l’impasto con le mani. Nonna Milena è dietro a una tenda, seduta a un tavolo, con il grembiule bianco e la cuffia da cuoco in testa. Ha aperto questo ristorante nel 1960. Quanti sono? 65 anni fa, giusto? «Io avevo poco più di 20 anni. Adesso ne ho 88». E cos’è cambiato da allora? «Che siamo più grandi. Quando ho cominciato avevamo solo questa stanza, dove è lei adesso, un locale stretto e rettangolare. E poi la cucina. Tagliatelle, tortelloni e cinghiale. Ci venivano a mangiare i braccianti e i cacciatori. Chiamavano da Firenze: “Siamo in dieci”. E alla fine non ci stavano più. Ma per il resto non è cambiato niente. In cucina comando ancora io. Le tagliatelle e i tortelloni li faccio tutti a mano. Preparo la sfoglia, l’impasto e anche il ripieno da sola. Ricotta e spinaci».
Dice «sono nata qui e questo è il nostro mondo». Fa un segno con la mano, «sono nata al Deposito, dove c’è l’allevamento di cavalli». È qui, a un tiro di schioppo. Anche i suoi figli sono nati qui. E i suoi nipoti. Nicoletta, la mamma di Lucio, ora l’aiuta in cucina assieme a Marco, suo marito, e serve ai tavoli. Le piaceva dipingere a Nicoletta, quadri di realismo magico. Un po’ fiabeschi. Animali, cinghiali, cavalli, cani, i ritratti della nonna e caleidoscopi di fiori come quello appeso sulla strada prima di entrare. Lucio li ha messi nelle copertine dei suoi dischi. «Ora non ho più tempo», sussurra Nicoletta. E adesso, dice, non cambia niente, anche se suo figlio è diventato famoso. Il mondo antico non deve muoversi troppo per restare quello che è. E poi, spiega nonna Michela, «mio nipote è un ragazzo umile, tranquillo, saluta tutti, è gentile, l’avete visto com’è. Non c’è motivo di cambiare. È cresciuto qui, ha la casa qui vicino. Ha imparato tutto da sé, ha studiato pianoforte, è stato solo qualche mesetto a scuola, ma niente di più. Tutto da solo ha fatto. È arrivato a prendere persino la Maturità allo Scientifico e non è che avesse molta voglia di studiare. Sua sorella invece a scuola è bravissima. Quest’anno si è laureata, 110 e lode a Economia e commercio e ha già trovato lavoro a Milano».
Ora hanno preso il volo i suoi nipoti. Lei fa un sorriso placido. Ah, «potrei pure morire felice adesso». Ma poi dice che il 25 viene qui. Se stai bene in un posto non lo lasci più, anche se sei lontano. «In fondo siamo rimasti uguali a questo luogo». Se ti guardi attorno è tutto cambiato. Ma qui è come se il grande oceano della modernità fosse rimasto sulla porta. Non abbiamo trovato neanche un televisore, o un computer. Fuori il mare non lo vedi, ma lo percepisci nella luce discontinua di questo sole in fondo all’orizzonte come una presenza che scolora le nubi. Certo, dice nonna Milena, Lucio ha molto di questo posto e molto gli deve. Le sue doti hanno sì una straordinaria capacità stilistica, così visionaria e fanciullesca, e così originale e autentica. Ma tutto comincia da qui, nella poesia di un luogo lontano dal tempo. Perché la sua favola inizia in Maremma, fra questi campi colorati qua e là dalle mimose, guardati dalle colline sullo sfondo, con i tortelloni al ragù cucinati dalla nonna, «perché io ho imparato da lei a scrivere le mie canzoni, a vedere come faceva a impastare la farina e le uova sul tavolo di legno». La canzone, vuole dire, non è nient’altro che un lavoro artigianale. E però non è solo da tutto questo, – la Maremma, la famiglia, le figure femminili della mamma e delle nonne, la natura e la pittura –, che viene quel modo surreale e poetico che ha di esprimere nei suoi versi le canzoni: «Vivere la vita è un gioco da ragazzi, me lo diceva la mamma e io cadevo giù dagli alberi».
Dietro alla sua poliedricità e alla sua favola ci sono certo anche i voli pindarici sui banchi di scuola e le innumerevoli contaminazioni musicali, ma c’è soprattutto questo mondo antico ancora incontaminato, questo residuo di un tempo rimasto miracolosamente intatto nelle moscaiuole sulle porte che sfrigolano all’ingresso della gente, nell’immagine di un casolare affacciato sui campi, uguale a com’era 70 anni fa quando veniva qualche Seicento a spegnere il rombo della marmitta sul piazzale, nel volto placido e semplice di nonna Michela seduta al tavolo dietro alla sala del ristorante, oltre una tenda rosa che la ripara appena dal gran vociare. Gliela riconosce pure Leonardo Pieraccioni questa virtù: «Con lui ho ritrovato il vecchio mondo lontano dal robotico autotune». E anche noi per un giorno siamo rimasti a guardarlo, questo suo mondo antico. Esiste davvero. È qui, sotto i nostri occhi.