Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  febbraio 20 Giovedì calendario

L’Ucraina tradita, l’Europa umiliata

Per 1091 giorni agli ucraini è stato ripetuto che non combattevano soltanto la loro guerra: ogni leader che si recava a Kiev gli ha detto che stavano lottando per la libertà di tutto l’Occidente. E queste parole non sono state recepite come uno slogan retorico, ma come un impegno concreto a essere al loro fianco. Ieri Donald Trump ha spazzato via la promessa che li ha sorretti in tre anni di sacrifici.
Il presidente americano ha usato le stesse frasi di quello russo, azzerando la distanza tra democrazia e autarchia: sono stati derisi i valori in cui gli ucraini hanno creduto dalla rivoluzione di Piazza Maidan, confermando con le elezioni la volontà di staccarsi da ogni legame con il Cremlino e di affermare l’identità europea della loro nazione. È il tradimento di un’alleanza che non è mai stata militare ma è nata da una visione condivisa della Storia, per la quale centinaia di migliaia di persone hanno pagato un tributo di sangue: non c’è una famiglia che non abbia un caduto da piangere o un mutilato da assistere.
Trump non ha soltanto demolito il fondamento della loro battaglia, arrivando ad accusarli di essere responsabili del conflitto. Ha fatto suoi gli argomenti di Putin, che tanti anche nel nostro Paese hanno predicato senza riuscire a scalfire l’indignazione per le immagini dell’invasione, per le stragi di civili a Bucha e a Irpin: senza poter negare la realtà.
“La verità è una – ha scritto il russo Vasilij Grossman, testimone degli orrori del comunismo e del nazismo –. Una sola, non due. Vivere senza verità, o con qualche sua briciola, qualche suo frammento, con una verità tosata o potata è difficile. Perché un pezzo di verità non è più verità”. Nell’era di Trump questo non conta più. Tutto può essere messo in discussione. L’Ucraina, come ha dichiarato pochi giorni fa, può tornare a essere parte della Russia. E le vittime possono trasformarsi in aggressori, venendo gettate in pasto ai loro aguzzini, negoziando accordi alle loro spalle.
Gli ucraini temevano il voltafaccia. Quando la scorsa primavera l’opposizione repubblicana al Congresso, ispirata da Trump, ha bloccato gli aiuti e permesso ai russi di tornare all’attacco sull’intero fronte, hanno guardato all’Europa. E hanno trovato solidarietà, tanto che la Germania è diventata protagonista del loro sostegno, moltiplicando i finanziamenti e le forniture belliche. Poi per calcolo elettorale il cancelliere Scholz si è defilato e per primo con una telefonata ha rotto l’isolamento di Putin, lasciandoli all’improvviso senza un’alternativa credibile. Anche per questo il tradimento di Trump non riguarda solo l’Ucraina: mette l’Europa, e l’Italia, davanti a una scelta.
Il discorso di J. D. Vance a Monaco è stato brutalmente esplicito: un punto di non ritorno. Il vicepresidente è più intelligente e più arguto del suo leader ma la sostanza non muta: ha distorto il concetto di libertà utilizzando gli identici argomenti del Cremlino, dimostrando così la vicinanza ideologica tra i nuovi signori di Washington e lo zar.
La sua idea di democrazia non è la nostra, non è quella su cui si fondano le nostre costituzioni. Dalla fine della Seconda guerra mondiale l’America è sempre stata il punto di riferimento, quasi una stella polare per orientare la crescita delle istituzioni nate dalla disfatta del nazi-fascismo. Adesso è cambiato tutto. E contrariamente alle peggiori previsioni, la Casa Bianca non intende inaugurare una stagione di isolazionismo, smettendo di farsi carico della difesa dell’Occidente per concentrarsi sui suoi interessi strategici: vuole che ci allineiamo alla sua visione, con la stessa determinazione padronale con cui sta abbattendo l’autonomia delle istituzioni statunitensi. Anche nel nostro continente e nel nostro Paese ci sono pulsioni simili, espresse nei Parlamenti da movimenti che non rinnegano una vocazione autoritaria: oggi Trump le nobilita e apre le porte alla carica degli estremismi.
Quello a cui stiamo assistendo è solo l’inizio di una fase cupa e difficile. Non ci si può illudere che scompaia: bisogna reagire, subito. Perché, ancora più di tre anni fa, in gioco non c’è solo il destino di Kiev ma il nostro futuro: la sopravvivenza della democrazia liberale in Europa è legata a quella dell’Ucraina.
Senza una pace giusta, che riconosca chi ha voluto la guerra e chi ha commesso i crimini, saremo tutti sconfitti.