Corriere della Sera, 20 febbraio 2025
Biografia di Mimma Gaspari Golino
Mimma Gaspari Golino, quella sediolina davanti alla porta del suo ufficio?
«Ci si sedevano i cantanti, per farmi sentire le loro canzoni».
E lei poi che diceva?
«Decidevo chi valeva la pena promuovere. Un pomeriggio si sedette un certo Claudio Baglioni. Suonò “Signora Lia”. E io ho perso la testa».
Eppure era abituata ai cantanti, come promoter ha attraversato trent’anni di storia della musica, soprattutto italiana, dalla Rca di Ennio Melis, alle Messaggerie di Ladislao Sugar, la Cgd.
«Che tempi».
E di questi tempi che dice? Che dice dell’ultimo Festival di Sanremo?
«Sono pazza di Olly».
Addirittura?
«Non ha portato una grandissima canzone, ma lui è vitale, muscoloso. Non ho mai visto un cantautore così muscoloso. E poi anche se sono vecchietta voglio dirlo».
Cosa vuole dire?
«Mi piace molto la sensualità di Olly».
Di Lucio Corsi che pensa?
«Non l’ho capito il suo successo. Forse piace tanto perché suscita tenerezza».
Elodie?
«Brava, sensuale, ma non ha cuore. L’opposto di Giorgia che ogni sua nota è un pezzetto di cuore».
Quale sarebbe stato il suo podio ideale del Festival?
«Olly primo, poi Giorgia e terzo Simone Cristicchi».
Lei se ne intende di cantautori e cantanti. Ci ha scritto un libro che è un’antologia: Penso che un giorno così non ritorni mai più. Di quanti artisti si è occupata nella sua carriera?
«Difficile contarli».
Quelli che ha amato di più?
«Non è elegante fare una graduatoria».
Procediamo a caso. Paolo Conte?
«È l’autore che ha scritto la canzone con maggiori diritti Siae: Azzurro. Tutti pensano che sia di Celentano perché Pallavicini lo convinse a cantarla. Ma è di Paolo. Lui non voleva saperne di salire su un palco. L’ho convinto».
Come?
«Facile. Gli ho detto: “Guadagnerai un sacco di soldi”».
Ma lei come ha cominciato a fare questo lavoro?
«Scrivendo testi per le canzoni, che portai a Teddy Reno. Gli sono piaciuti al primo appuntamento. Era il 1959».
Un altro mondo davvero.
«Partiamo da un presupposto, da quello che sostenevano Melis e Jimmy Fontana: l’Italia è il Paese della melodia, se usciamo da questo perimetro le canzoni non restano. I rapper, i trapper non hanno melodia».
Rimanendo negli anni Sessanta: Enzo Jannacci.
«Ho portato al successo la sua “Vengo anch’io”».
In che modo?
«Mi sono imposta di portarlo a Sanremo. Alla Rca non ci credevano. Vendette 600 mila copie, più di tutte le sue canzoni messe insieme».
E poi è diventata veramente immortale.
«Come altre canzoni di quegli anni per le quali ho dovuto lottare. “Bella senz’anima” di Cocciante, volevano censurarla. L’incipit: “E adesso spogliati...” era molto scandaloso per quell’epoca».
Tra i grandi successi di Cocciante c’è anche «Margherita»...
«Per “Margherita” ho dovuto litigare con il direttore delle vendite di Rca. Mi disse: “Vuoi rovinare Cocciante con questa canzone?”».
Lungimirante. Altre censure nel suo percorso?
«Renato Zero. Ho combattuto molto per farlo passare in tv. Giovanni Salvi non voleva. L’ho preso di petto: “Guarda Giovanni, con Renato Zero farai dieci puntate di sabato sera”. Così successe, dieci puntate con Raffaella Carrà».
La Raffa nazionale.
«Una determinazione mai vista, quella donna. Aveva poche doti artistiche ma una professionalità e una tigna...».
Ci sono anche cantanti stranieri sul suo percorso?
«Sammy Davis e Gene Pitney che cantò una canzone a Sanremo con Little Tony. Poi Nancy Sinatra».
La figlia di Frank?
«Già. Un giorno Beppe Giannini, il mio capo, mi disse che dovevo occuparmi di lei. Me lo disse nel nostro ballo mattutino. In questo modo mi dava gli ordini delle cose da fare. Ballando mi sussurrava i compiti della giornata».
Non è facile stare dietro alle storie della sua vita.
«Della mia vita numero due. La numero uno era la mia famiglia».
Enzo Golino, suo marito, che diceva?
«Conciliavo la mia vita di lavoro con quella familiare. Però quella sera con Gabriella Ferri...».
Cosa successe?
«Ho fatto tardissimo a casa sua e mio marito mi cercava, preoccupato. Gabriella soffriva di forti depressioni. Doveva partire “Mazza bubù”, un programma televisivo. Il giorno dopo doveva andare in studio a registrare la sigla. Non voleva andarci in nessun modo».
Come l’ha convinta?
«Con pane e salame, le ha rimosso l’ansia».
Anche Gianni Morandi ha vissuto un periodo di ansia, di crisi.
«Si sentiva finito, demoralizzato. Diceva: “Ora ci sono i cantautori, io non valgo più”. Gli ho dato un bel calcio in su».
In che modo?
«Avevo un credito con Aldo Donati che aveva scritto “Canzoni stonate”, una canzone che poi è finita nelle mani di Mogol e ha avuto il successo che sappiamo. Gianni è uno dei cantanti con cui ho lavorato di più».
Chi altro?
«Beh, Nada l’ho presa in custodia che aveva 14 anni. Per lei ho passato le mattinate all’ufficio d’igiene».
E perché mai?
«Era minorenne e oltre che il consenso dei genitori ci voleva quello dell’ufficio d’igiene. Non mi ricordo perché. File infinite, uno stress. Che poi però veniva ricompensato. La cosa più importante della mia vita è stata l’amore che avevo per gli artisti. Anche molto per Ivano Fossati. Melis voleva che lui componesse. Fossati voleva cantare. Alla fine scrisse una canzone meravigliosa: “Dedicato”».
Cantata da Loredana Bertè.
«Anche da Loredana Bertè, ma lui l’aveva scritta per Mia Martini».
Altri ricordi?
«Quanto spazio ho ancora?».
Poco, scelga un artista.
«Lucio Dalla. Non aveva mai una lira e viaggiava di notte in treno perché si spendeva meno. Arrivava alla Rca, si stendeva sui lunghi tavoli e dormiva. Per molto tempo si è mantenuto con le feste dell’Unità. Un’ultima battuta su Patty Pravo posso?».
Prego.
«Pochi sanno che Crocetta, il suo produttore dell’epoca, le volle dare Pravo come nome d’arte perché gli ricordava “depravato”. E voleva che la depravazione fosse abbinata al suo nome».