Corriere della Sera, 20 febbraio 2025
Giorgia Meloni in imbarazzo
In politica il silenzio può rivelare imbarazzo, o essere parte di una strategia. Nel caso del furioso attacco verbale che Trump ha sferrato a Zelensky, il silenzio di Palazzo Chigi e il conseguente mutismo dei «fratelli» d’Italia tengono insieme entrambi gli stati d’animo. L’escalation dell’inquilino della Casa Bianca contro l’uomo di Kiev chiude ancor più nell’angolo Giorgia Meloni, che si ritrova stretta tra la vicinanza al presidente degli Stati Uniti e il sostegno incrollabile all’Ucraina e al suo leader. «Siamo in immersione, come i sub», scherza un meloniano al governo.
La maggioranza è stupita, spiazzata. Dalla Farnesina filtrano umori come sbigottimento e costernazione e il ministro Antonio Tajani sceglie di non dichiarare. Anche nelle stanze della presidenza del Consiglio si prende tempo, nella consapevolezza che per la premier non è ancora il momento di metterci la faccia. Potrebbe farlo sabato, con un videocollegamento Roma-Washington alla kermesse dei conservatori Cpac, dove parlerà Trump. A Palazzo Chigi si è valutata anche l’ipotesi di una terza missione americana, dopo Mar-a-Lago il 4 gennaio e la cerimonia di insediamento il 20, ma dallo staff assicurano che «la visita di Meloni a Washington non è imminente». Sarà Emmanuel Macron, la settimana prossima, il primo presidente della Ue a varcare la soglia della Casa Bianca e la premier italiana non vuole mostrarsi scavalcata. «È normale che vadano prima Starmer e Macron – ha commentato con i collaboratori – Gran Bretagna e Francia sono membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu e sono anche tra le nazioni che più hanno spinto per l’invio di truppe in Ucraina». Prospettiva che Meloni non approva.
Le opposizioni incalzano, vogliono sentire cosa la premier abbia da dire sui ceffoni di Trump, il quale ha addossato a Zelensky tutte le colpe della guerra scatenata da Putin e ha sferzato l’Europa, accusandola di aver fallito. Ma la donna che guida il governo non ha interesse alcuno a replicare colpo su colpo agli avversari in un momento così difficile per lei. Non potendo smarcarsi da Zelensky e non volendo prendere distanza da Trump, la fondatrice di FdI evita commenti ufficiali e lascia filtrare da Palazzo Chigi «l’augurio che si arrivi presto a un accordo di pace tra Russia e Ucraina». Se e quando il dialogo tra Washington e Mosca produrrà una proposta di tregua, Meloni ne valuterà le condizioni, ma prima di allora ritiene «impossibile» e anche inutile far conoscere la sua posizione: «La trattativa si giudica alla fine». E se Olaf Scholz ha definito «sbagliato e pericoloso» l’aver negato a Zelensky legittimità democratica, nello staff della premier osservano che il cancelliere tedesco è stato «il solo» capo di governo che abbia espresso a caldo un giudizio. Cautela comprensibile, dal momento che a Palazzo Chigi avevano accolto con fiducia l’accelerazione impressa ai negoziati dalla telefonata di Trump a Putin. Poi però l’Europa è stata sbattuta fuori, Zelensky è stato preso brutalmente a schiaffi e ora Meloni deve decidere da che parte stare.
Salvini va gridando la sua «enorme stima» per Trump, al quale assegnerebbe persino il Nobel per la pace. L’entusiasmo del segretario della Lega eufemisticamente stride con i giudizi di Marina Berlusconi, che al Foglio ha dichiarato la sua preoccupazione per il «bullismo politico» di un presidente che si pone come «rottamatore dell’Occidente». Un’angoscia che Meloni non condivide. Lei certo non pensa che la guerra sia iniziata per colpa dell’Ucraina, ma nemmeno si allarma per le sparate dell’inquilino della Casa Bianca e resta convinta che l’amico di Washington stia maltrattando Zelensky «perché vuole chiudere l’accordo». Meloni spera in un’intesa che «rispetti sia l’Ucraina che l’Europa». E poiché le sta a cuore anche la tenuta del cessate il fuoco a Gaza, ieri ha ricevuto a Palazzo Chigi il presidente di Israele, Isaac Herzog, al quale ha ribadito l’impegno per la stabilizzazione di Gaza e l’urgenza di una «pace giusta e duratura» in Medio Oriente.