Corriere della Sera, 19 febbraio 2025
Fabio Testi: «A 83 anni debutto al Festival di Berlino. Il mio passato di sex symbol. Ora recito poesie d’amore a teatro e in chiesa».
BERLINO – Debuttare a 83 anni. «Alla mia veneranda età, andare per la prima volta alla Berlinale, a un festival così impegnato, è una bella soddisfazione», dice Fabio Testi, già sex symbol, simpatico, guascone, diretto quando parla, è stato il Belmondo italiano. In sala stampa uno grida: «Sei una leggenda». E lui esclama pronto: «Champagne per l’amico». È il protagonista di Reflet dans un diamant mort, dei registi coniugi Hélène Cattet e Bruno Forzani.
Che ruolo fa?
«Sono un ex agente segreto che vive in un lussuoso hotel sulla Costa Azzurra; la vicina di stanza, Maria de Medeires, che mi ricorda i felici Anni 60, scompare nel nulla».
Un thriller?
«Sì, Forzani venne a trovarmi, disse che gli ricordavo Sean Connery e di essersi ispirato al mio film Road to Nowhere di Monte Hellman che nel 2010 andò a Venezia. Mi sembrava strano e complicato, iper realista e surreale, ricordi e follia si mescolano. Letto il copione, tutto tornava. Un bravo attore, Yannick Renier, fa me da giovane. Il film è molto accurato, hanno realizzato una story board scena per scena, e ho passato una giornata intera a doppiarmi nei respiri, bocca aperta, bocca chiusa. Posso dire una cosa?».
Prego?
«Il film doveva andare a Venezia ma non è stato preso perché inventarono la scusa che non sapevano in quale sezione metterlo. Ne ho parlato con Luca Zaia, il presidente del Veneto è mio amico, mi ha detto che spesso è la politica che decide, che tutto passa da Roma».
Ma lei Sean Connery l’ha conosciuto?
«Come no, al tempo in cui stavo con Ursula Andress ci veniva a trovare a Roma. Persona meravigliosa. Dovevo fare suo figlio in un film che poi non si fece. Lo portai io alla prima edizione della Festa del cinema, di cui era promotore Veltroni, allora sindaco».
Lei ha girato 64 film e ha vinto solo un Globo d’oro.
«Nel 1971, come rivelazione de Il giardino dei Finzi Contini di Vittorio De Sica, un gigante che amava gli attori, recitava tutte le parti, dovevi solo imitarlo. I premi sono pilotati dalle distribuzioni, si sa come vanno queste cose».
Il gigante De Sica e un Leone: Sergio.
«In C’era una volta il West dovevo interpretare il capo di una banda, truccato da cow-boy restavo belloccio e non c’entravo niente, così il ruolo fu cancellato e mi ritagliarono una piccola parte. Mica mi mettevo a fare causa a Leone».
I suoi inizi?
«Non volevo farlo l’attore. Nel primo film, Straniero fatti il segno della croce, venivo ucciso dodici volte. Ho cominciato come comparsa sul Garda, dalle mie parti, dove giravano i film di pirati. Poi sono diventato controfigura per anni, tante cadute dalle scale e dai cavalli, non vi dico gli incidenti d’auto. Una volta mi ritrovai in una gabbia con tre leoni e due leonesse».
Cosa fa ora?
«Recito poesie d’amore con musica dal vivo, è un hobby e un lavoro. Vado nei teatri, nelle chiese, dove mi chiamano. Neruda, Garcia Lorca, Prévert. I giovani mi fanno domande, hanno bisogno d’amore».
Ci parli della sua foto sul suo profilo whatsApp.
«Appaio con un cartello per fermare il massacro di bambini a Gaza. A una giornalista cancellai l’intervista dopo che mi disse che non potevo mostrare il cartello. Sono nonno di quattro nipoti, i bambini uccisi a Gaza non mi fanno dormire la notte. E parla uno che è pieno di amici ebrei. Volevo creare il festival della pace, nessun attore mi ha seguito. Io non do giudizi, dico solo stop ai bambini vittime dell’odio dei grandi».
L’ultima volta al cinema?
«Manco me lo ricordo, i film li affitto, ho un grande schermo nella mia tenuta dove coltivo pomodori, vivo con quattro cani, ho una compagna che vedo nei week-end».
Ha amato Ursula Andress e Charlotte Rampling, Anita Ekberg e Edwige Fenech. Essere tutta la vita un sex symbol alla lunga…
«Era una scocciatura quando mi chiamavano Fabio Andress, perché giustamente venivo dopo Ursula. Da ragazzo ho avuto la fortuna di vivere l’esperienza delle turiste del Nord Europa che venivano in vacanza in Veneto, l’anticoncezionale lo portavano loro. Altro mondo. Mi inventavo la fidanzata fantasma, che poteva apparire da un momento all’altro. Ne uscivo fuori così».