Corriere della Sera, 19 febbraio 2025
Dichiarazione dei redditi: dove sta l’inganno dell’8, del 5 e del 2 per mille.
di Milena Gabanelli e Simona Ravizza
19 febbraio 2025
Dichiarazione dei redditi: dove sta l’inganno dell’8, 5 e 2 per mille
Quando compiliamo la dichiarazione dei redditi lo Stato ci chiede a chi vogliamo dare l’8, il 5, e il 2 per mille dell’Irpef che versiamo. Così 42 milioni di contribuenti possono inserire nei riquadri dedicati la propria firma per:
1) sostenere con l’8 per mille una delle 13 confessioni religiose riconosciute, a partire dalla Chiesa cattolica, Unione Chiese Cristiane Avventiste del 7° Giorno, Assemblee Di Dio, Chiesa Evangelica Valdese, ecc. (qui l’elenco completo) oppure attività dello Stato;
2) aiutare con il 5 per mille volontariato, ricerca scientifica e università, ricerca sanitaria, beni culturali e paesaggistici, attività sociali del proprio Comune, associazioni sportive dilettantistiche, enti gestori delle aree protette. Oltre alla firma, il contribuente può indicare il codice fiscale del singolo soggetto cui intende destinare direttamente la quota del 5 per mille (qui);
3) finanziare con il 2 per mille un partito politico inserendo il codice corrispondente al prescelto (qui e qui);
Il principio è che lo Stato rinuncia a un po’ di soldi che arrivano dalla fiscalità generale in nome della volontà dei cittadini di sostenere attività sacrosante che di suo lo Stato non sostiene o lo fa poco. Vediamo dove sta l’inganno.
8 per mille
L’8 per mille è in vigore dal 1990. Lo prevede la legge del 20 maggio 1985 (n. 222, art. 47, qui) che dà seguito all’Accordo di Villa Madama del 18 febbraio 1984 (qui) tra l’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi e il segretario di Stato del Vaticano Agostino Casaroli, e va a sostituire l’istituto della Congrua (qui), ossia l’assegno che lo Stato corrispondeva mensilmente ai parroci. Negli anni sono stati stipulati, poi, accordi con altre confessioni religiose fino ad arrivare alle 13 attuali. Il meccanismo prevede: «In caso di scelte non espresse da parte dei contribuenti, la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse». Cosa vuol dire concretamente? Nel 2024 è stato ripartito l’8 per mille relativo alla dichiarazione dei redditi 2020, valore oltre 1,3 miliardi (qui):
– 581,8 milioni di euro arrivano da 16,7 milioni di contribuenti che hanno esplicitamente scelto di donarlo e che rappresentano il 41% dei contribuenti totali, di cui il 28% ha deciso di destinarli alla Chiesa cattolica (409,4 milioni), il 9,7% allo Stato (pari a 139,6 milioni), e l’altro 4% suddiviso tra le altre confessioni religione (32,8 milioni);
– 826,3 milioni di euro arrivano invece dai 24,1 milioni di contribuenti (59%) che non hanno scelto nulla e il cui 8 per mille viene ripartito secondo le proporzioni di chi ha fatto una scelta. A conti fatti significa che complessivamente il 68,5% dell’8 per mille di tutta l’Irpef va alla Chiesa cattolica (911 milioni, 79 di conguaglio) e il 25,6% allo Stato (340,3 milioni).
A oggi solo le Assemblee di Dio e la Chiesa Apostolica accettano solo i fondi esplicitamente destinati a loro e lasciano gli altri allo Stato. Dal canto suo lo Stato si impegna a destinare la sua quota dell’8 per mille esclusivamente per gli interventi straordinari per il contrasto alla fame nel mondo, in caso di calamità naturali, per l’assistenza ai rifugiati, per la conservazione dei beni culturali e per interventi rivolti all’edilizia scolastica pubblica (qui). In realtà la promessa non viene rispettata: una lunga serie di interventi normativi (qui pag. 21 e 22) sposta i fondi dell’8 per mille su altre attività (come per esempio le spese dei ministeri), per un totale di circa 137,76 milioni di euro decurtati dai 330, pari all’incirca al 42% dello stanziamento 2023 che spetterebbe sulla base delle scelte dei contribuenti.
5 per mille
La possibilità per il contribuente di devolvere il 5 per mille dell’Irpef a soggetti che svolgono attività socialmente rilevanti è prevista per la prima volta dalla Legge di bilancio 2006, governo Berlusconi III (Legge 23 dicembre 2005, n. 266, articolo 1, commi 337 e ss. qui). Alla sua entrata in vigore il 5 per mille viene scelto da 13 milioni di italiani per un valore di 345 milioni di euro.
A partire dal 2007 (qui) viene introdotto un tetto: se le donazioni del 5 per mille lo superano incassa lo Stato. È fissato di anno in anno con le Leggi di bilancio e puntualmente oggetto di proteste da parte del Terzo settore.
Dal 2010 il tetto è di 400 milioni (comma 5 qui). Poi la legge di bilancio 2015 stabilisce (qui comma 154) che sarà:
– tra il 2015 e il 2019 di 500 milioni di euro per ciascun anno;
– nel 2020 di 510 milioni di euro;
– nel 2021 di 520 milioni di euro;
e a partire dal 2022 di 525 milioni di euro com’è ancora oggi.
Nicola Bedogni, past president dell’Associazione italiana Fundraiser (Assif), calcola che complessivamente dal 2006 al 2023 lo Stato si è tenuto 483 milioni destinati invece al no profit. Solo nel 2023 (ultimi dati disponibili) hanno scelto il 5 per mille 17 milioni e 249 mila contribuenti (41% dei contribuenti) per un valore di 553 milioni di euro. I fondi che sono tornati allo Stato perché eccedenti il tetto, e considerati dalle associazioni del Terzo settore uno scippo, sono dunque 28 milioni. Adesso nel decreto Milleproroghe da approvare entro fine febbraio ci sono otto emendamenti: sette sono sostanzialmente identici e chiedono che il tetto sia alzato a 553 milioni di euro annui a decorrere dal 2025. Tale cifra corrisponde a 28 milioni in più degli attuali 525 milioni, che è esattamente la cifra che servirebbe per arrivare a coprire quanto gli italiani hanno destinato lo scorso anno con le loro scelte. Tanto incassi, tanto distribuisci. Fratelli d’Italia invece prevede un aumento del tetto del 5 per mille di soli 10 milioni di euro, portando la copertura a 535 milioni di euro a decorrere dal 2025. Al Senato nessuno è stato approvato. Una scelta che denota un’attenzione al portafoglio pubblico, ma poca alla ricerca e che tradisce le scelte che i cittadini fanno con la loro dichiarazione dei redditi. Il provvedimento passa ora alla Camera.
2 per mille
Quando ad incassare sono i partiti, invece, le cose prendono subito un’altra piega. Parliamo del 2 per mille. Dal 2014 il governo Letta sostituisce i rimborsi elettorali ai partiti con il 2 per mille (Dpcm 28 maggio 2014 qui, in attuazione del Dl 149/2013, art. 12 qui). Il meccanismo è lo stesso del 5 per mille: 1) valgono solo le scelte esplicitamente effettuate dai contribuenti con la dichiarazione annuale dei redditi; 2) c’è un tetto oltre il quale incassa lo Stato che è di 7,75 milioni di euro per il 2014, 9,6 milioni di euro per il 2015, 17,7 milioni di euro per il 2016 e 25,1 milioni di euro dal 2017 (qui art. 12 comma 4).
Fino al 2023 il tetto non viene mai raggiunto. Invece nel 2024 scelgono il 2 per mille 2 milioni di italiani, quasi il 5% (contro gli 1,7 del 2023) e la cifra arriva a 29 milioni e 790 mila e 532 euro (contro i 24 del 2023). Cosa fa il governo? Aumenta immediatamente il tetto di 4 milioni e 691 mila euro in modo che i partiti non perdano neppure un euro (qui e qui art. 10 comma 1). Non solo. A fine novembre 2024 il governo prova anche a modificare il meccanismo con un emendamento al decreto Fisco passando dal 2 per mille allo 0,2 per mille (qui), e dando quindi l’impressione di ridurre i soldi dell’Irpef destinati ai partiti. Contestualmente veniva però stabilito che i partiti avrebbero incassato lo 0,2 per mille di tutta l’Irpef versata dai contribuenti, anche di quelli che non esprimono nessuna scelta (come avviene per l’8 per mille). I soldi incassati in questo modo sarebbero arrivati a 42,3 milioni di euro a partire dal 2025. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella lo ha bloccato. Un provvedimento del genere, oltre a incidere sui soldi pubblici, sarebbe andato a impattare ancora una volta sulle libere scelte dei cittadini.