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 2025  febbraio 19 Mercoledì calendario

Burla: uno scherzo senza (troppa) cattiveria e non solo a Carnevale.


È proprio difficile sorridere di questi tempi. Non che il resto dell’anno sia più facile, ma stride il contrasto tra la cupezza delle notizie tragiche che ci circondano e il clima che dovrebbe essere più lieve almeno a carnevale. Prendete una parola apparentemente innocua come burla.
Significati e sfumature. Burla vuol dire scherzo, ma lo sottolinea “privo di cattiveria”. Non è insomma un dileggio o uno scherno offensivo. Piuttosto una celia, una lieve presa in giro. Non è chiara neanche la sua origine. Quasi tutti i dizionari riportano il latino burrŭla(m), diminutivo di burrae “scherzi”. Altri segnalano che burrula o burrella in latino significava anche tranello, trappola per catturare animali selvatici. Ma tutto coincide: uno scherzo, per riuscire bene, è sempre una trappola.
Tendenze virali. Quante volte ci capita di definire il simpatico raccontatore di barzellette innocue come un “burlone”. Il problema nasce quando questi simpaticoni assumono serissimi ruoli istituzionali e invece di darsi un contegno, continuano a prenderla alla leggera (e a raccontare barzellette). Ma è un male antico del nostro Paese: confondere la serietà con l’ostentazione, il pudore con l’esagerazione e non accorgersi per tempo dei danni tragici che può fare non coltivare un sano senso del ridicolo. Per questo è difficile sorridere su un termine come burla. Perché in teoria è facile trovarlo in ruoli teoricamente importanti. E trovarci di fronte a espressioni conseguenti come un “ministro da burla”, un “Paese da burla” e simili.
Prima variazione. Pensate alla sua variante più suggestiva, il burlesque, un balletto piccante e sensuale che unisce danza e spogliarello, voyerismo e gusto per l’esibizione. Dal punto di vista linguistico burlesque è un emigrato di ritorno: ci arriva dall’inglese che ha dato questo nome a un genere teatrale satirico già nel Settecento, passando per il successo successivo del termine in francese per poi tornare dalle nostre parti dove il burlesco latino è nato e prospera da millenni. E la burla ha sempre avuto un rapporto stretto col linguaggio teatrale, dove fino a tutto il 1700 aveva il significato di rappresentare, mettere in scena. La burla era infatti l’opera comica. Oggi invece distinguere la realtà da un’opera comica è sempre più difficile.
Seconda variazione con sorpresa. I più affezionati frequentatori di un carnevale storico come quello di Viareggio ricorderanno che la maschera simbolo di questo appuntamento si chiama Burlamacco e la sua livrea è una simpatica sintesi fra gli scacchi di Arlecchino, il mantello del dottor Balanzone, i pom pon di Pierrot e il cappello di Rugantino ricomposti negli anni Trenta dall’artista Uberto Bonetti. Quel nome Burlamacco, è il sito stesso del carnevale di Viareggio a raccontarcelo, nasce un po’ per caso mettendo insieme la burla e Buffalmacco, pittore fiorentino del Trecento che nelle novelle di Giovanni Boccaccio si prendeva gioco dei creduloni. Ma c’è di più. Sempre grazie al sito del carnevale scopriamo che “Burlamacca è il nome del canale emissario del lago di Massaciuccoli sulla foce del quale è sorto il porto e poi la città di Viareggio; il corso d’acqua a sua volta prendeva nome dalla nobile famiglia lucchese dei Burlamacchi”.
Fascino letterario. La burla è un affare troppo serio perché la letteratura potesse trascurarla. Nel 1926 Italo Svevo pubblica un breve racconto dal titolo”Una burla riuscita” che racconta lo scherzo crudele fatto ad un aspirante scrittore al quale viene prospettata la pubblicazione di un romanzo presso un’importante editore, ma in realtà è tutta una beffa per prenderlo in giro. Scrittore appassionato di scherzi e burle è stato Guy de Maupassant che ha disseminato la sua produzione di racconti molto divertenti. In “Guerre da burla” del 1882, racconta lo scontro tra un parroco e un soprintendente alle Belle Arti nella campagna normanna. Il prelato vuole a tutti i costi mettere dei mutandoni ad una statua di Adamo che è troppo nudo per starsene esibito sul sagrato della chiesa.
Non solo in maschera. Le burle più comuni non sono solo nei racconti, quelle relative al Carnevale o agli scherzi dell’amico più simpatico della compagnia. In moltissimi numeri si celano le burle più riuscite. Pensate agli ascolti tv. L’Auditel, che monitora il successo dei programmi attraverso precisi campioni di rilevazione in rapporto alla popolazione, ci fornisce numeri senz’altro attendibili (da poco hanno aggiunto anche una rilevazione del pubblico che guarda, live, un apparecchio connesso, come uno Smartphone, un tablet, un pc e l’hanno chiamata “Total audience”). Bene, se prendiamo questi dati riferiti alla serata finale del Festival di Sanremo 2025 scopriamo che c’è stato un record di ascolti: 13 milioni 427mila spettatori e 73,1% di share (cioè la percentuale di quelli che erano davanti alla tv). Sembra che la stragrande maggioranza di italiani abbia seguito quel programma. Ora, secondo gli ultimi dati Istat, la popolazione italiana è composta da 58,76 milioni di individui. Quindi i telespettatori della serata finale di Sanremo rappresentano poco più del 22% degli italiani. Nessun errore, le cifre citate sono tutte corrette, sono i numeri ad essere burloni.