La Stampa, 19 febbraio 2025
L’Italia diede i missili a Zelensky. E oggi non riesce più a ricomprarli.
Di Francesco Grignetti
19 febbraio 2025
Le nostre Forze Armate sono a corto di sistemi antiaereo, inviati all’esercito di Kiev su pressione proprio degli Stati Uniti. Roma ha offerto 800 milioni di euro all’industria americana per riaverli, ma l’amministrazione Biden ha messo il veto
Roma. Il governo italiano ha scoperto amaramente che cosa significhi non avere una sovranità tecnologica e dipendere dagli Stati Uniti. È successo alle nostre forze armate, che avevano necessità di comprare urgentemente uno stock di missili antiaereo, i famosi Stinger, un’arma micidiale che aiuta la fanteria a difendersi dagli attacchi dal cielo, e si erano rivolti fiduciosi all’industria americana. Ma anche se gli italiani avevano in mano un cospicuo assegno da 800 milioni di euro non c’è stato nulla da fare. L’Amministrazione statunitense – qui si parla di Joe Biden alla Casa Bianca – ha messo il veto alla vendita perché quei missili nei loro disegni strategici servivano di più ad altri alleati. Non sappiamo chi, anche se è facile intuire che fosse l’Ucraina.
La Difesa ha dovuto così chiedere all’industria nazionale di organizzarsi e produrre un missile simile allo Stinger. È stato così varato un programma pluriennale di forniture detto VSHORAD (Very Short Range Air Defence). Il paradosso di questa vicenda è che gli Stinger li avevamo in arsenale, ma siccome servivano agli ucraini gli sono stati regalati su pressione proprio degli americani, in uno dei tanti decreti di cessione armi.
Il caso degli Stinger racconta che cosa è la “sovranità tecnologica” di cui parlano tanto i leader europei. È la capacità di sviluppare, produrre e mantenere le proprie tecnologie critiche senza dipendere da altre potenze straniere. Può capitare in qualsiasi momento, infatti, che uno Stato si trovi in difficoltà. E però nel campo degli armamenti non bastano i soldi se ci si deve rivolgere alle industrie altrui. A volte prevalgono le valutazioni geopolitiche. E alla fine si dipende da chi ha tecnologia e capacità industriale.
Non meraviglia, allora, leggere nel documento del governo che il programma VSHORAD riguarda sì «l’incremento della capacità di difesa a cortissimo raggio dell’Esercito Italiano nel rispetto dei requisiti richiesti dalla Nato», ma anche «ad assicurare, in ottica Sistema Paese, un minor grado di dipendenza da Paesi Terzi». Non si fanno nomi, ma il Paese Terzo sono ovviamente gli Stati Uniti d’America dove ha sede la società Raytheon, che finora era la monopolista di questo tipo di missile.
Nel caso dei nuovi missili antiaereo, il governo è stato tratto d’impaccio da un consorzio tricolore tra le società Mbda-It, Leonardo, Avio e Iveco Defense Vehicles. «Il programma – si legge nei documenti ufficiali che hanno ricevuto già il via libera dal Parlamento – prevede l’interazione con numerose industrie del settore metalmeccanico, specializzate in lavorazioni meccaniche, sia di carpenteria che di precisione, elettrico ed elettronico, nonché settori legati a propulsione, image processing, tecnologia reti e sistemi, progettazione meccanica e meccanica di precisione». Ci lavoreranno molti operai in diversi stabilimenti sparpagliati tra Toscana, Liguria, Lazio, Marche, Campania, Lombardia, Piemonte e Abruzzo.
Ovviamente, dovendo rinnovare le scorte di questo tipo di missile antiaereo, ne sono state migliorate le caratteristiche tecniche. Perciò il consorzio dovrà fornire le nostre forze armate sia del classico missile da appoggiare alla spalla, sia di una versione da veicolo, dove i militari potranno difendersi dalla minaccia aerea attraverso una torretta ad alta automazione.
Il programma avrà una prima fase, di qui al 2028, coperta da uno stanziamento di 175 milioni di euro per avere al più presto una scorta accettabile di nuovi missili. Ci sarà poi un secondo tempo, dal 2029 al 2036, per aumentare il numero di missili, delle torrette, e anche inventare un nuovo tipo di veicolo che sia un po’ il cervello nelle operazioni di difesa da parte della fanteria a fronte della minaccia ravvicinata di aerei, elicotteri e anche droni. Lo definiscono un «Posto Comando Modulo d’Ingaggio VSHORAD su piattaforma VBM 8x8, dotati di radar e sistema di comando e controllo». Il passo successivo costerà altri 600 milioni di euro.
Compresa nel prezzo c’è la manutenzione e la fornitura di pezzi di ricambio per dieci anni, in patria come all’estero, nonché «la disponibilità di parti di ricambio e di eventuali aggiornamenti tecnici per la risoluzione delle obsolescenze e per l’esecuzione nel tempo di tutti gli interventi manutentivi». E visto che sarà prodotto, ci si propone anche di venderli in giro per il mondo questi nuovi Stinger italici. «La produzione sarà prevalentemente nazionale, ma la cooperazione con partner europei nel segmento della Difesa Aerea consentirà di ampliare le opportunità per promuovere e favorire l’export». A questo proposito il governo ipotizza una ricaduta occupazionale per circa 600 lavoratori l’anno nel periodo legato alla fase di produzione, successiva a quella di sviluppo e di omologazione.