Corriere della Sera, 19 febbraio 2025
Tappo «a vite» per il vino, con il sughero in crisi è al 40% del mercato: e a volte è più efficace.
Sigillare il vino ma lasciarlo respirare. È una delle sfide principali del settore, che storicamente utilizza il sughero per i tappi delle bottiglie, ma nell’ultimo decennio si sta affermando la chiusura a vite, spinta anche dalle difficoltà delle coltivazioni. Le piantagioni d’Europa si concentrano in Portogallo e Spagna, da cui dipende circa l’80 per cento delle esportazioni mondiali.
Il gruppo portoghese Amorim Cork, primo produttore di sughero al mondo, usa per lo più la materia prima locale, con circa 720 mila ettari nel Paese, e ha da poco investito in 8 mila ettari di proprietà. «Non saremo autonomi – spiega l’ad di Amorim Cork Italia Carlos Veloso dos Santos – ma stiamo sperimentando metodi accelerati di coltivazione per dimezzare i tempi».
Considerando la siccità, servono fino a 43 anni per raggiungere un sughero adatto alla trasformazione. «Con irrigazione a goccia, profonda cura e nutrienti si ottiene un buon sughero in 10 anni», dice Veloso dos Santos. In Sardegna i ricercatori cercano di proteggere dai cambiamenti climatici la piccola parte della produzione italiana, il 3% delle riserve globali, ma con fatica perché – sottolinea la dottoressa Sara Maltoni di Sardegna Foreste durante un convegno sul tema –, manca un database che censisca le piantagioni. «Non c’è una causa univoca che minaccia le sugherete – spiega il dottor Salvatore Seddaiu di Agris Sardegna –, incide l’alterazione dei regimi di pioggia. La media annuale di precipitazioni non è cambiata, ma ora le piogge hanno un andamento eccezionale fuori stagione e questo comporta fitopatie in più punti e maggiori superfici».
Oggi, circa 10 miliardi di bottiglie nel mondo sono chiuse con sughero da macero, 2 miliardi con tappo monopezzo, 7 miliardi con tappo a vite.
Pioniera in Italia è stata l’azienda Guala Closures, gruppo Investindustrial, fondata 70 anni fa nell’Alessandrino. «L’ingresso nel mercato è stato una sfida culturale – racconta il direttore generale dell’unità operativa italiana di Guala Emanuele Sansone –, l’approccio culturale nelle cantine era legato al sughero, all’immagine del cavatappi, e il tappo a vite era sinonimo di vino cheap».
Il mercato del tappo a vite ha iniziato a crescere all’estero, in testa Germania, Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica. Il retaggio si sta superando anche in Italia, dove i produttori cominciano ad apprezzare alcune qualità. «La chiusura ermetica – dice Sansone – permette di avere la stessa evoluzione controllata su tutte le bottiglie, consente al vino bianco di conservarsi anche per 10 anni e al vino rosso di invecchiare a permeabilità controllata». È così che, pur con il tappo a vite, il vino respira.