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 2025  febbraio 19 Mercoledì calendario

Intervista a Edoardo Bennato

Erano una quindicina, i fazzoletti sulla bocca come banditi del Far West. Sfondarono dentro il Palasport. Gridavano quel ridicolo slogan: ‘Bennato, Bennato, il sistema ti ha comprato’.
Pesaro 1977, il suo scontro fisico con gli autoriduttori, caro Edoardo.
Pretendevano la musica gratis, processavano noi cantautori considerati a sinistra. De Gregori si illudeva di dialogare con questi rivoluzionari fasulli. Io e il mio team, cresciuti in un cortile proletario di Bagnoli, li annusavamo a distanza. Stra-lotta Continua eravamo noi, non i figli di papà.
Arrivarono dagli spalti alle vostre spalle.
Dove avevamo piazzato il mixer, a protezione. Non c’era polizia né servizio d’ordine. E questi venivano da noi che praticavamo il prezzo politico, mille lire, non andavano nelle discoteche dei ricchi, se ne fregavano di attaccare i Pooh o Cocciante. Sul palco c’ero solo io. Chiesi di accendere le luci, nel buio gli esaltati diventavano più aggressivi. Alla loro violenza occorreva rispondere colpo su colpo. Mio fratello Giorgio, il manager, i tecnici si azzuffarono. Mi sfilai la chitarra gettandomi nella mischia. Il pubblico fece il tifo: ‘Edoa’, ammazzali’. Scazzottata epica.
I partiti le chiedevano la tessera?
No. Sapevano che non l’avrei presa. Però ero diventato l’eroe dell’intellighenzia di sinistra dopo un festival a Civitanova Marche, ’73. C’erano anche Battiato, Lolli, Claudio Rocchi. Suonai dei pezzi schizo-punk, Ma che bella città, Salviamo il salvabile, Arrivano i buoni, Uno buono dove ironizzavo sul presidente Leone, Affacciati affacciati dedicato a Paolo VI. Quando scesi dal palco la mia vita era cambiata, mi designarono portavoce dell’insoddisfazione giovanile. Quelle canzoni le avevo testate suonandole da busker a Londra e a Roma, davanti al bar Vanni. 
Incrocio strategico, alle spalle della Rai. 
Dei giornalisti mi notarono. Era la mia ultima carta. La Ricordi mi aveva licenziato dopo il fiasco del debutto, Non farti cadere le braccia. Non vendette una copia. Dopo quei festival il direttore della Ricordi mi richiamò: ‘Benna’, come hai fatto? Sei diventato un mito’. E mi fecero incidere un nuovo album, I buoni e i cattivi. Qualcuno, molto dopo, avrebbe usato lo stesso titolo.
Vasco.
Coincidenza? I ragazzi di oggi pensano che quel messaggio sia il suo.
Non si butti giù.
Chi ricorda le mie canzoni contro le guerre senza ragione e contro il potere? Il pubblico ha la memoria corta.
Gliela rinfrescherà il documentario in onda stasera su Raiuno, diretto da Stefano Salvati. Sono solo canzonette, con molte testimonianze vip in suo onore.
Senza la svolta del bar oggi sarei un architetto famoso: ero andato a studiare al Politecnico di Milano. 
Invece era destinato a segnare la musica italiana.
Da un fabbro sul Lago d’iseo mi ero fatto costruire un supporto per l’armonica. Mi chiese se fosse uno strumento di tortura. Il pedale, il tamburello, la chitarra, il kazoo. Non serviva altro.
Nell’80 fu il primo cantautore rock a suonare negli stadi.
Quindici date, Marassi, Udine, Ancona, Torino. Però prima di San Siro avevo capito che la nostra amplificazione fosse inadeguata. Volevo rinunciare. ‘Come?’ fecero i miei, ‘ci attendono in 70 mila!’. Me ne andai sulla spiaggia di Massa Marina, presi un moscone. Remai. Vidi un bagnino sbracciarsi. Il manager mi avvisava che David Zard ci avrebbe affittato un impianto con i fiocchi per Milano.
Gianni Minà girò uno speciale per la tv.
Minà ci seguiva ovunque, si infervorava contro l’imperialismo americano. Un altro mio grande amico era Fabrizio De André, andavo spesso da lui in Sardegna, lo esaltava che noi ex ragazzini del cortile di Bagnoli ci fossimo imposti nel carrozzone collodiano della musica, lo schifava la mandria. Gli dedicai una ballata, Pronti a salpare, dove si parlava di emigrazione. ‘Usiamo la poesia’ si raccomandava Faber. ‘Non dobbiamo fare i sociologi. Siamo poeti’.
Com’era De André?
Si chiudeva con i miei amici a vedere Sanremo, e non dirò cosa usciva dalla sua bocca. Sarebbe stato fiero di vedermi lì giorni fa, c’ero stato anche nel 2010 e due anni fa con Leo Gassman. Festival così diversi da quelli dei primi anni 70, che la Rai neanche trasmetteva. Erano scaduti al livello di sagre parrocchiali: che differenza con le Feste dei Partiti, i cantautori con la tessera in tasca.