Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  febbraio 19 Mercoledì calendario

L’antica Alessandria, come nasce una città

Alessandria fu fondata ufficialmente tra il 1167 e il 1168 in un’area strategica, situata alla confluenza tra il Tanaro e la Bormida: un crocevia naturale di vie di comunicazione che collegavano la Liguria alla Lombardia. Prima del Mille, il territorio si presentava scarsamente abitato, caratterizzato da una fitta rete di boschi, aree paludose e terreni coltivati in modo frammentario. Gli insediamenti erano limitati a pochi agglomerati rurali, alcuni dei quali risalenti all’età romana, e a una serie di curtes regiae, centri agricoli dipendenti dal potere signorile e vescovile. Tra questi si distinguevano Bergoglio, Gamondio, Rovereto e Foro, situati lungo le direttrici che da Novi, Ovada e Acqui si incrociavano in direzione di Tortona e Pavia. Furono gli abitanti di tali centri a dare vita a una civitas nova, sviluppatasi attorno al castrum di Rovereto e alla pieve di Santa Maria, eretta verso la metà del XII secolo in località Palea. La nuova realtà urbana, sostenuta politicamente dalla Lega Lombarda e finanziata da Genova, fu dotata fin da subito di solide fortificazioni. Le mura cittadine, ampliate nel 1280, testimoniavano la volontà di difendere l’autonomia politica e militare della comunità, la cui popolazione, nel periodo di massimo sviluppo, oscillava tra le 18.000 e le 20.000 unità. La nascita della Diocesi alessandrina, nel 1175, contribuì a consolidare l’identità cittadina, favorendo, inoltre, la formazione di un contado omogeneo, capace di assicurare alla città un territorio da cui ottenere sostentamento e su cui esercitare la propria influenza. Il nuovo assetto amministrativo portò alla costituzione di un’ampia circoscrizione diocesana, comprendente gli abitanti di otto centri principali: Gamondio, Marengo, Bergoglio, Rovereto, Foro, Oviglio, Solero e Quargnento. A questi si aggiungevano le pievi di Masio, in valle Tanaro, Ponto, Cassine, in valle Bormida, e Retorto, in valle d’Orba, delineando la futura proiezione della città verso la via del mare.
Da Alessandria si dipartivano le principali direttrici viarie che conducevano ad Asti, Torino, Susa e il Moncenisio, mentre la val Bormida garantiva il collegamento con Savona e la valle Scrivia con Genova, raggiungibile altresì attraverso il corso dell’Orba e il passo della Bocchetta. Lungo queste arterie si sviluppò un sistema commerciale di dimensioni contenute, con particolare rilievo per la produzione vinicola delle aree collinari, destinata prevalentemente al mercato genovese. I rapporti con il porto ligure risultano attestati già nel 1146, allorché un trattato con Gamondio assicura ai mercanti genovesi una posizione preminente nel mercato locale.
Accanto all’attività commerciale si sviluppò anche un vivace settore artigianale, incentrato sulla lavorazione del lino e della canapa, cui, verso la fine del XII secolo, si affiancò l’industria laniera. Quest’ultima fu introdotta dagli Umiliati, un movimento di origine lombarda nato tra XI e XII secolo, inizialmente composto da laici che praticavano una vita di austerità e dediti alla lavorazione tessile. La loro presenza ad Alessandria non si limitò alla sola attività produttiva: essi ricoprirono anche incarichi chiave nell’amministrazione cittadina, assumendo spesso la funzione di clavarii e dazieri, gestendo la contabilità pubblica e il sistema fiscale locale.
La fondazione di Alessandria rispondeva a una precisa strategia politica, sostenuta da papa Alessandro III e dalla Lega Lombarda, finalizzata a contrastare l’espansione imperiale nella regione. Da tempo, il territorio era conteso tra Genova e Tortona. L’intervento di Federico Barbarossa alterò gli equilibri esistenti. Nel 1155, gli abitanti di Gamondio e Bergoglio parteciparando rono alla ricostruzione di Tortona ma, tre anni dopo, combatterono al fianco dell’imperatore nell’assedio di Milano. Nel 1164, Federico assegnò i due centri, assieme a Foro, al marchese di Monferrato, rafforzando la propria influenza nella regione. La Lega Lombarda reagì promuovendo un moto associativo tra Gamondio, Marengo, Foro, Bergoglio e Rovereto, con il sostegno economico di Genova, che vedeva nella nuova città un caposaldo strategico per i propri commerci padani. Ben presto, gli alessandrini svilupparono una propria identità, distinta dalle comunità d’origine, struttu- un governo autonomo attorno alla magistratura consolare, consapevoli del proprio ruolo politico. L’indipendenza della città si manifestò anche nella volontà di consolidare il controllo territoriale. Nel 1169, occuparono Castelletto d’Orba, in modo da presidiare la valle dell’Orba, strategica per i collegamenti con Genova, siglando, inoltre, con Asti un trattato decennale di mutua assistenza contro marchesi di Monferrato e i conti di Biandrate. Nel 1172, l’alleanza con Milano, Piacenza e Vercelli portò alla sconfitta di Guglielmo V di Monferrato, costretto a unirsi alla Lega. La reazione imperiale non tardò: il 29 ottobre 1174, con Asti passata alla parte fridericiana, Alessandria fu assediata. L’imperatore tentò di deviare il Tanaro per fiaccarne la resistenza, ma il 12 aprile 1175 fu costretto alla ritirata.
Pochi mesi prima, il 30 gennaio, con la bolla Sacrosanctæ Romanæ Ecclesiæ, papa Alessandro III aveva istituito la diocesi di Alessandria, rendendola suffraganea dell’arcidiocesi di Milano e ricavandone il territorio dallo smembramento delle diocesi filoimperiali di Pavia, Asti e Acqui. L’elezione del primo vescovo alessandrino, un certo Arduino, avvenne in modo autonomo, senza il coinvolgimento del capitolo della cattedrale, a cui solitamente spettava tale prerogativa. Ciò provocò una controversia, risolta il 30 gennaio 1176 con il breve De novitate, con cui il papa, consapevole di aver agito motu proprio, si scusava per non aver rispettato le consuetudini canoniche, riaffermando il diritto del clero locale di partecipare attivamente alla scelta del proprio vescovo. Nel 1178 (o, secondo altre fonti, nel 1180), con il breve Congruam officii, Alessandro confermò, inoltre, la costituzione del capitolo dei canonici della cattedrale di San Pietro, istituito dal nuovo vescovo, Ottone Ghilini, riconoscendo alla diocesi tutti i suoi possedimenti, consolidandone, così, la struttura ecclesiastica e amministrativa. Tale decisione innescò una lunga controversia con Acqui, che vedeva minata la propria giurisdizione. Nel 1180, il papa tentò di risolvere la disputa unendo le due diocesi, ma l’opposizione dei rispettivi presuli fece fallire il progetto. Nel frattempo, Alessandria dovette affrontare nuove tensioni: la tregua del 1177, seguita alla pace di Legnano, la lasciò vulnerabile di fronte a Pavia e Tortona, ormai schierate con l’Impero. Nel 1178, i legami con la Lega Lombarda si allentarono, mentre il marchese di Monferrato cercava di riaffermare il controllo sulla città imponendo il giuramento vassallatico agli abitanti di Gamondio, Marengo e Foro. L’anno successivo, a ogni modo, Alessandria codificò le proprie consuetudini, avviando trattative con i marchesi del Bosco per consolidare la propria autorità su Palea. Due anni dopo, rinnovò l’alleanza con Genova per contenere l’influenza di Tortona e Pavia sulle vie commerciali. Nei decenni successivi, consolidò il proprio controllo sui pedaggi e sulle infrastrutture, garantendosi l’accesso a Genova tramite l’Orba e la Scrivia. Il riconoscimento imperiale arrivò con la pace di Costanza del 1183, ma le tensioni con il Monferrato sarebbero continuate, sopendosi soltanto all’inizio del nuovo secolo. Sul piano ecclesiastico, la rivalità con Acqui si riaccese nel 1205, quando Innocenzo III tenterà nuovamente di unire le due diocesi. Il provvedimento avrebbe incontrato ampie resistenze nel clero acquese, risolvendosi nel 1207, con un trattato che sancì la fusione delle diocesi. Di lì a poco, un arbitrato stabilì che le due città avrebbero dovuto essere considerate un’unica comunità dal punto di vista giuridico e ammini-strativo. Siamo di fronte, insomma, a una vicenda complessa e, proprio per questo, affascinante.