Corriere della Sera, 19 febbraio 2025
Alla Camera si ricorda De André
Era nato il 18 febbraio, ieri avrebbe compiuto 85 anni. E quella che è andata in scena nella Sala della regina della Camera dei deputati «...Ma tu rimani. Buon compleanno Faber», voluta dalla commissione Cultura con la cura di Assoconcerti, è sembrata davvero una festa per Fabrizio De André. Il cantore dei dimenticati, degli amori perduti, degli amici fragili, uno dei più grandi artisti del XX secolo.
Merito in primis di Dori Ghezzi, capace di trasmettere lo spirito di De André al di là di ogni retorica e ufficialità («sono emozionata, onorata, sbalestrata», esordisce). È della musica e delle parole del cantautore scomparso l’11 gennaio 1999, che Paola Turci e Paolo Fresu restituiscono con amorevole cura. Le loro versioni voce, chitarra e tromba di Inverno, Preghiera in gennaio, Il pescatore sono un assaggio di quello che si ascolterà al festival Time in jazz a L’agnata, «a casa sua» dove si rinnova ogni estate l’appuntamento con lui.
Ospiti d’onore alla Camera, in mezzo alla presenze istituzionali – la vicepresidente della Camera Anna Ascari, il presidente della commissione Cultura Mollicone, il sottosegretario Mazzi, l’assessore alla Cultura di Roma capitale Smeriglio che annuncia il ritorno del premio De André nella piazza a lui intitolata alla Magliana e Bruno Sconocchia, storico manager dell’artista – sono i ragazzi della scuole che sollecitano i ricordi. E Dori, accanto a Gino Castaldo che modera l’incontro, non si tira indietro, tra commozione e risate. Racconta quando, nei quattro mesi del sequestro nel 1979, uno dei rapitori confessò al cantautore di preferire la musica di Guccini, e lui rispose pronto: «Belin, potevate rapire lui». «Avevamo creato un dialogo con i sequestratori, per questo eravamo certi che ci avrebbero salvato. Dopo, non è cambiato nulla nel nostro modo di vivere, abbiamo cercato di farlo senza paura. E abbiamo dato ancora più valore al concetto di libertà che spesso diamo per scontata», spiega. «La sua canzone più personale? Non ha mai voluto cantare sé stesso, forse solo in Hotel Supramonte. O in quelle sugli amori passati».
Ha cantato il mondo come lo osservava, viene sottolineato, gli invisibili che gli altri non vedevano, ha evitato le risposte semplici, «in direzione ostinata e contraria», dritto ai cuori di tanti. «È il potere di Fabrizio – sorride Ghezzi —, non credo che ci si commuova facilmente qui alla Camera. Facciamone tesoro. Anche se, come diceva, ce ne dimentichiamo cinque minuti dopo...».
Passano spezzoni di interviste a Faber («È attraversando i disagi che un individuo riesce a dare il meglio di sé»; «Un po’ di impegno può servire, forse. A far parlare di certi argomenti. Non serve sicuramente a fermare nulla, guerra compresa»). Li ha scelti lei pensando ai più giovani. «Fabrizio ha usato un linguaggio trasversale alle generazioni». Compresi quelli che lo hanno evocato all’ariston. «Bresh era già protetto da Cristiano. Olly, che non conoscevo, ha sentito il bisogno di mettersi in contatto con me. Gli avevo consigliato di non vincere, è un’arma a doppio taglio. Però poi gli ho detto: meno male che non mi hai dato retta».