Corriere della Sera, 18 febbraio 2025
I 147 fari italiani, «templi del Mediterraneo», sono (e valgono) un patrimonio.
Quelli attivi sulle nostre coste sono tantissimi e sono oggetto degli interventi di un team specializzato della Marina Militare, la Direzione Fari e Segnalamenti, a Napoli
di Marco Molino
18 febbraio 2025
Di notte, in mezzo al mare, ci si sente smarriti. Quel buio senza confini mette a nudo tutte le nostre insicurezze. Eppure qualcuno ritiene che questi timori siano un retaggio d’atri tempi, grazie ai moderni strumenti digitati che supportano i naviganti del terzo millennio. Sarà vero, ma quando un incerto bagliore si fa strada nel regno delle tenebre, le epoche si sovrappongono e quel raggio proiettato dal faro nell’oscurità riscalda l’anima, oggi come ieri, aiutando concretamente i marinai ad orientarsi e a superare momenti difficili. Dai primi falò di fascine ai più avanzati pannelli a led, in cima alle torri solitarie che si ergono tra le scogliere ha continuato a brillare nei secoli la speranza. Il progresso tecnologico delle odierne «lanterne» è dunque parte di una gloriosa storia in costante evoluzione, un connubio tra antico e moderno che ha messo radici sulle coste di Partenope, sempre in bilico tra passato e presente. Proprio Napoli, infatti, è stata scelta nel 2013 per costituire la Direzione Fari e Segnalamenti responsabile per tutto il territorio nazionale, team specializzato della Marina Militare insediato nella base navale del Molo San Vincenzo.
Luci lampeggianti lungo il confine tra mare e terra
Sono 147 i fari attivi sulle coste italiane, ai quali si aggiungono 713 fanali (comprese mede e boe), da Trieste a Pantelleria. Lungo questo confine tra mare e terra punteggiato da luci lampeggianti si adoperano con dedizione gli operatori coordinati dal centro partenopeo, ramo del Comando Logistico che ha sede sull’isolotto di Nisida, impegnato a pianificare e curare il funzionamento degli ausili visivi alla navigazione in costante collegamento con i comandi territoriali di La Spezia, Venezia, Taranto, La Maddalena e Messina. «La copertura globale dei satelliti del sistema GPS ha completamente risolto oggi il problema del proprio posizionamento sulla superficie del mare, pur tuttavia, i segnalamenti continuano a rivestire un ruolo fondamentale per la navigazione», spiega il capitano di vascello Angelo Patruno, direttore del Servizio Fari e Segnalamenti Marittimi. «I fari e tutto l’insieme di ausili alla navigazione costellano le nostre coste ed i nostri porti con il compito di indicare alle navi una “strada sicura” e quindi esente da pericoli come secche, scogli emersi, relitti e che forniscono, dopo l’ingresso all’interno del porto, le indicazioni necessarie per orientarsi all’interno del sorgitore».
Ausili alla navigazione tra storia e natura
È dal 1911 che la Marina Militare cura la gestione dei fari sul territorio nazionale. Siti pregni di memoria e in sintonia con l’ambiente circostante. Come il faro di Capo d’Orso a Maiori, sulla Costiera Amalfitana, realizzato nel 1882 e oggi curato dal Wwf che organizza sull’oasi naturale iniziative di turismo responsabile e birdwatching. All’interno c’è ancora il forno che la famiglia del guardiano utilizzava per il pane. Anche il faro veneto di Punta del Tagliamento, posto sulla foce del fiume omonimo, è al centro di una riserva naturalistica tra la pineta e le dune sabbiose. L’elettrificazione fu inaugurata solo nel 1952, fino a quel momento vi si teneva perennemente acceso un fuoco, proprio come nel remoto passato. Echi di antiche battaglie si avvertono invece presso il faro di punta Carena a Capri, difeso da un muraglione innalzato all’inizio dell’800 dagli inglesi per fronteggiare attacchi di navi nemiche. Il monumentale faro della Vittoria, che domina lo skyline di Trieste con i suoi 68 metri di altezza, fu invece realizzato nel 1927 per celebrare il passaggio della città giuliana nel Regno d’Italia e commemorare i caduti in mare della Grande Guerra.
Dalle torri urbane ai siti più isolati d’Italia
Quando si ergono nelle aree urbane, le torri maestose sono visibili da ogni angolo della città e ne diventano emblemi identitari. La più antica è la Lanterna di Genova, realizzata nel 1543 nella sua attuale forma, ma edificata probabilmente quattro secoli prima. C’è anche un museo all’interno dell’adiacente fortezza e nel 2001 fu aperta una passeggiata storica per collegarla con il resto della città. A Livorno, l’imponente faro cilindrico domina invece lo scalo marittimo toscano. Fu realizzato in epoca medievale ai tempi della Repubblica di Pisa e ricostruito dopo i danneggiamenti della Seconda guerra mondiale. Ma più spesso associamo la presenza di un faro a luoghi solitari e difficilmente raggiungibili, lì dove rimangono esposti alle sferzate del mare in tempesta. Uno dei fari più inaccessibili è quello siciliano di Strombolicchio, realizzato circa un secolo fa su un isolotto vulcanico delle Eolie, tutelato come riserva naturale. Ci sono duecento gradini per arrivare dal mare alla struttura, ma le visite degli operatori sono sempre più rare da quando funziona ad energia rinnovabile. Il più isolato d’Italia sembra però il faro di Mangiabarche, costruito nel 1935 su alcuni scogli affioranti a quattrocento metri dalla costa di Calasetta, nella Sardegna meridionale. Nei giorni di tormenta, ghermito dalle onde incessanti, appare quasi come un miraggio. È al nono posto nella classifica dei Luoghi del Cuore Fai (Fondo Ambiente Italiano) e su Facebook è stato creato un gruppo che si batte per sollecitare una più costante manutenzione per quello che in zona considerano un vero e proprio patrimonio culturale della comunità. D’altronde anche lo scrittore e storico Predrag Matvejevic ricordava che «i fari sono simili ai templi del Mediterraneo, e non si può lasciarli solo ai servizi costieri e a quelli della navigazione».
Un patrimonio tutelato dal Mit e dalla Marina Militare
«Il Servizio Fari, ed in generale la Marina Militare – sottolinea Patruno –, è estremamente attento alla conservazione dei suoi beni infrastrutturali ed ha in corso un esteso piano di intervento che sta interessando moltissimi dei nostri edifici. In questo contesto, i fari rappresentano dei veri e propri monumenti, ricchi di storia, cultura e senso di identificazione delle nostre comunità nazionali al proprio territorio. La forza armata infatti provvede ex-lege alla loro manutenzione ordinaria. Invece, per gli interventi di manutenzione straordinaria, spesso necessari in ragione della collocazione peculiare di queste strutture, quasi sempre posizionate in luoghi remoti ed esposti agli elementi naturali, la Marina Militare collabora efficacemente con il ministero delle Infrastrutture e Trasporti. Ogni anno – puntualizza il capitano Patruno – vengono finanziati dal Mit importanti interventi infrastrutturali a favore di questi cespiti che, al termine dei lavori vengono riconsegnati alla Marina che ne ripristina la loro originaria funzione».
Nell’Ottocento un primato partenopeo
Pure lo skyline napoletano è dominato da un faro, quello edificato nel 1916 sul Molo San Vincenzo (sede della Direzione Fari), che svetta con i suoi 24 metri d’altezza sulla diga foranea borbonica. Ma già nel secolo precedente, sull’approdo partenopeo fu sperimentato con successo il sistema di lenti inventato nel 1827 dal fisico francese Augustin-Jean Fresnel. «Nel marzo del 1843, Ferdinando II di Borbone fece acquistare a Marsiglia uno di questi innovativi sistemi che, nel maggio di quell’anno, venne impiantato sperimentalmente sul faro del porticciolo di Nisida», ricorda Claudio Romano, collaboratore dell’Ufficio Storico della Marina Militare. «A fronte della positiva prova, nel successivo mese di settembre quel sistema fu smontato dal faro della piccola isola per essere montato sulla “grande lanterna” del porto di Napoli. In questo modo, l’approdo partenopeo divenne il primo scalo della penisola italica ad essere dotato di un “faro lenticolare”».