Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  febbraio 18 Martedì calendario

Quanto pagano gli italiani per curarsi (oltre 40 miliardi l’anno) e per cosa. E 4,5 milioni rinunciano alle cure.

Di Maria Giovanna Faiella
Si spende di più per prestazioni specialistiche (comprese quelle odontoiatriche) e riabilitazione, seguono farmaci, apparecchi, assistenza a lungo termine. Il 40% della spesa out of pocket, però, non apporta reali benefici alla salute. ll Rapporto sulla spesa sanitaria privata di Gimbe per conto dell’Osservatorio Nazionale Welfare & Salute
Gli italiani spendono oltre 40 miliardi l’anno per curarsi, soprattutto per cure – comprese quelle odontoiatriche – e riabilitazione, poi per farmaci, apparecchi terapeutici, assistenza a lungo termine. Tuttavia, la spesa cosiddetta «out of pocket», cioè sostenuta di tasca propria, non rappresenta un indicatore affidabile per valutare le mancate tutele nella sanità pubblica, poiché da un lato si stima che nel 40% non apporti reali benefici alla salute ma sia dovuta principalmente al consumismo sanitario, dall’altro ci sono 4,5 milioni di connazionali che rinunciano a prestazioni necessarie a reali bisogni di salute. Non è un caso che la spesa sanitaria privata sia più alta nelle Regioni più ricche e dove la sanità pubblica funziona meglio. È l’analisi contenuta nel Rapporto dell’Osservatorio GIMBE sulla «Spesa sanitaria privata in Italia 2023», commissionato dall’Osservatorio Nazionale Welfare & Salute (ONWS) e presentato a Roma, nel corso di un convegno «La Sanità integrativa tra sfide, riforme ed esigenze di una nuova narrazione», presso la sede del CNEL -Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro.
Peso economico crescente per le famiglie
 
Lo studio ha analizzato il peso economico crescente sostenuto dalle famiglie e le criticità del sistema della sanità integrativa.
Spiega Ivano Russo, presidente dell’Osservatorio ONWS: «Abbiamo affidato alla Fondazione GIMBE un’analisi indipendente sulla spesa sanitaria delle famiglie, con l’obiettivo di identificare la quota che può essere realmente intermediata dalla sanità integrativa».
Sono stati analizzati diversi dati istituzionali, sia dell’Istat (SHA-Sistema dei conti della sanità, Conti nazionali e indagine campionaria sulle famiglie) sia del Sistema Tessera Sanitaria, che raccoglie i dati per la dichiarazione dei redditi precompilata. Ebbene, in base al sistema dei conti della sanità dell’Istat, nel 2023 la spesa sanitaria totale in Italia ha raggiunto 176,1 miliardi di cui:
-130,3 miliardi di spesa pubblica (74%),
-40,6 miliardi di spesa privata a carico delle famiglie (23%),
– 5,2 miliardi di spesa privata intermediata da fondi sanitari e assicurazioni (3%).
Secondo il Rapporto, considerando soltanto la spesa privata, l’88,6% è a carico diretto delle famiglie, mentre solo l’11,4% è intermediata.
Commenta Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE: «Siamo molto lontani dalla soglia suggerita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: per garantire equità e accessibilità alle cure, la spesa out of pocket non dovrebbe superare il 15% della spesa sanitaria totale».
 
Per cosa si spende di più
 
Secondo i dati Istat-SHA, quasi la metà della spesa privata delle famiglie (18,1 miliardi) avviene per cure (comprese le prestazioni odontoiatriche) e riabilitazione; seguono i prodotti farmaceutici e apparecchi terapeutici (36,9%, pari a 15 miliardi) e l’assistenza a lungo termine (LTC), che assorbe il 10,9% della spesa complessiva, per un totale di 4,4 miliardi. «Tuttavia – fa notare Cartabellotta – le stime effettuate nel Rapporto indicano che circa il 40% della spesa delle famiglie è a basso valore, ovvero non apporta reali benefici alla salute. Si tratta di prodotti e servizi il cui acquisto è indotto dal consumismo sanitario o da preferenze individuali quali ad esempio esami diagnostici e visite specialistiche inappropriati o terapie inefficaci o inappropriate. Di conseguenza, risulta totalmente infondata l’ipotesi di rilanciare il Servizio Sanitario Nazionale “mettendo a sistema” gli oltre 40 miliardi di spesa out of pocket attraverso la sanità integrativa».
Ragiona Cartabellotta: «Ridurre la spesa out of pocket richiede un approccio di sistema articolato in tre azioni: innanzitutto, un progressivo e consistente rilancio del finanziamento pubblico, da destinare in primis alla valorizzazione del personale sanitario per rendere più attrattiva la carriera nel Ssn; una maggiore sensibilizzazione dei cittadini per contrastare gli eccessi di medicalizzazione e una formazione mirata dei medici per limitare le prescrizioni inappropriate; una rimodulazione del perimetro dei Livelli essenziali di assistenza, oggi insostenibili per il numero di prestazioni incluse rispetto alle risorse pubbliche disponibili, per restituire al secondo pilastro il ruolo primario d’integrazione rispetto alle prestazioni non incluse nei Lea, come l’odontoiatria e la long-term-care, alleggerendo così la spesa delle famiglie».
Spese sanitarie pagate dagli italiani, oltre 40 miliardi l’anno. Per cosa si spende di più. E 4,5 milioni rinunciano alle cure
 
Le Regioni dove si spende di più di tasca propria
 
Confrontando la spesa sanitaria trasmessa al Sistema Tessera Sanitaria alla popolazione residente in base ai dati ISTAT al primo gennaio 2023, rileva il Rapporto Gimbe, il valore nazionale è di 730 euro pro-capite, ma con differenze notevoli tra Regioni: si va dai 1.023 euro spesi in media in Lombardia, ai 377 euro della Basilicata. In pratica, le Regioni con migliori performance nei Livelli Essenziali di Assistenza registrano una spesa pro-capite superiore alla media nazionale, mentre quelle del Mezzogiorno e/o in Piano di rientro si collocano al di sotto.
«Questo dato – spiega Cartabellotta – conferma sia che il livello di reddito è una determinante fondamentale della spesa out of pocket, sia che il valore della spesa delle famiglie, al netto del sommerso, non è un parametro affidabile per stimare le mancate tutele pubbliche, perché condizionato dalla capacità di spesa individuale».
Aggiunge il presidente dell’Osservatorio ONWS: «Le Regioni dove si spende di più sono le più ricche e quelle dove la sanità funziona meglio (come Lombardia, Emilia Romagna, Veneto), e non dove c’è più bisogno, quindi la spesa out of pocket certifica ulteriormente che è la più odiosa forma di discriminazione rispetto al diritto alla salute» sottolinea Russo.
 
4,5 milioni di italiani rinunciano alle cure
 
Secondo Cartabellotta   «l’aumento della spesa privata non solo è il sintomo di un sottofinanziamento della sanità pubblica ma anche un indicatore delle crescenti difficoltà di accesso al Servizio sanitario nazionale. L’impossibilità di accedere a cure necessarie a causa delle interminabili liste di attesa determina un impatto economico sempre maggiore, specie per le fasce socio-economiche più fragili che spesso non riescono a sostenerlo, limitando le spese o rinunciando alle prestazioni». Del resto, come si ricorda nel Rapporto, nel 2023 circa 4,5 milioni di italiani hanno dovuto rinunciare a visite o esami diagnostici, di cui 2,5 milioni per motivi economici, con un incremento di quasi 600 mila persone rispetto al 2022.
 
Fondi sanitari, ruolo integrativo limitato
 
Il Rapporto rileva che la spesa intermediata attraverso fondi sanitari, polizze individuali e altre forme di finanziamento collettivo rimane limitata: nel 2023 ammonta a 5,2 miliardi, ovvero il 3% della spesa sanitaria totale e l’11,4% di quella privata. Commenta Cartabellotta: «Il ruolo integrativo dei fondi sanitari rispetto alle prestazioni incluse nei LEA è limitato da una normativa frammentata e incompleta e la spesa intermediata compensa solo in parte il carico economico sulle famiglie». Dal rapporto emerge che il 31,6% della spesa intermediata viene assorbito dai costi di gestione, mentre poco meno del 70% è destinato a servizi e prestazioni per gli iscritti.
Inoltre, tra il 2020 e il 2023 i fondi sanitari integrativi hanno progressivamente aumentato le risorse destinate all’erogazione di prestazioni, riducendo il margine rispetto alle quote incassate. Sottolinea il presidente Gimbe: «La crisi della sanità pubblica e, soprattutto, la sua incapacità di garantire prestazioni tempestive stanno spostando sempre più bisogni di salute sui fondi sanitari, mettendo a rischio la loro stessa sostenibilità».