Avvenire, 18 febbraio 2025
Quei due Comuni «primi focolai d’Italia» Il Covid è un ricordo che fa ancora male.
Mascherine con l’influenza e plexigas nei bar «Siamo ripartiti, però a volte torna la paura»
PAOLO VIANA 18 febbraio 2025
Una firma che vale una vita. Anzi, molte. Francesco Passerini non dimenticherà mai «come pesava quel braccio, nel firmare l’ordinanza con cui chiudevamo il paese». Aveva convocato la giunta all’alba del 21 febbraio 2020. Non mancava nessuno. Spiegò che si doveva chiudere il paese per evitare il propagarsi del contagio e che la Croce Rossa non aveva idea di cosa stesse succedendo, ma la coda delle ambulanze usciva dal cortile dell’ospedale… «Ho detto che non potevo assumere una decisione simile senza un confronto con i miei assessori. La risposta furono dieci secondi di silenzio. Ho preso la penna e ho firmato». Più tardi si sarebbe detto che era nata la prima zona rossa. «Avrei preferito non entrare nella storia così – commenta – ma se è servito a salvare qualcuno è stata la scelta giusta».
Cinque anni dopo a Codogno si prende l’aperitivo, si fa la fila all’ufficio postale, si va al mercato. Come si faceva a Milano mentre il sindaco firmava quell’ordinanza perché Codogno sembrava essere l’unico focolaio d’Italia e la libertà dei suoi abitanti andava sacrificata per fermare l’epidemia. Cinque anni dopo, «alle prime notizie di influenza, tutti usano ancora la mascherina perché è rimasto un senso di paura – spiega il farmacista Giuseppe Maestri, insignito del titolo di Cavaliere al merito per aver retto la “prima linea” -. La pandemia ci ha resi tutti più consapevoli». Il vaccino antinfluenzale lo fanno tutti i soggetti a rischio. Passeggiare adesso per questo centro della bassa lodigiana, che sta investendo in alloggi protetti per anziani ed ambisce a diventare il dormitorio di Milano – le case costano meno e in cinquanta minuti di treno sei a Lambrate – non trasmette alcuna sensazione negativa. Ma cinque anni fa non era così. Gli anziani cadevano come foglie nelle tre case di riposo e nel silenzio delle abitazioni. Mattia Maestri, il paziente uno, si salvò solo perché i medici dell’ospedale, dopo averle tentate tutte, violarono il protocollo dei test Covid. La sera del 20 febbraio 2020, la dottoressa Annalisa Malara accertò con questa decisione il primo caso in Italia. Andrea Lozzi dirige la Rsa della fondazione Opere Pie riunite. Nel 2020 era un medico di famiglia prossimo alla pensione. Visitava i propri pazienti e quelli degli altri. «Non potevo tirarmi indietro, troppi colleghi erano malati» dice lui. Ma di lui dicono che fu uno dei pochi a non negarsi. Lozzi non fu mai contagiato. Adesso può dichiarare con orgoglio la copertura vaccinale degli ospiti della Rsa: «Covid, influenza da pneumococco e varicella zoster: siamo al 100%». Sull’attualità è realista: «Stiamo tornando indietro, quando per la gente i medici non erano eroi. Anche tra i sanitari, medici e infermieri, si fa strada una disaffezione a questo mestiere». I più attenti alla profilassi sono gli anziani – conferma – perché «nella cultura contadina vivere con la morte affianco era normale: facevi tanti figli e poi qualcuno se lo portava via la difterite, qualcun altro il tifo nero… Fanno più attenzione perché non sono abituati a rimuovere il pensiero».
Questa città ha lavorato molto per superare la paura. «Non siamo e non vogliamo esser ricordati solo come la prima zona rossa – dice il sindaco – ma per la nostra resilienza. Ce l’hanno riconosciuto con il titolo di comune europeo dello sport nel 2023 ma soprattutto con la visita di Mattarella nel 2020. In quei giorni essere di Codogno sembrava una colpa. Il premier Conte arrivò ad adombrare che il nostro ospedale aveva commesso degli “errori”… Invece, lo si deve ai nostri medici se potè iniziare la campagna tamponi a livello nazionale». Passerini è un fiume in piena: «ci sentivamo addosso lo stigma. Frutto di ignoranza e di paura, d’accordo, ma non è da tutti resistere, gestire l’emergenza, caricarsi sulle spalle le responsabilità del Paese (e del mondo) e segregarsi volontariamente quando sui Navigli si prende l’aperitivo. E poi ripartire». Durò 15 giorni quell’isolamento solitario, ma poteva essere per sempre: quando fu firmata l’ordinanza le ambulanze correvano e nessuno voleva inumare i cadaveri infetti. La città ebbe più morti tra febbraio e marzo che durante la seconda Guerra mondiale. La resilienza prese la forma del volontariato: chi era dentro la zona rossa si rimboccò le maniche. Si riprese persino a fare figli, ma durò poco: «ora stacchiamo un saldo positivo solo grazie ai nuovi residenti» ammette il primo cittadino.
Se Francesco Passerini rivendica «il sano orgoglio di aver iniziato il contrasto al coronavirus nel Paese», un altro Passerini sottolinea che la conquista della normalità fu favorita dal carattere di questi lodigiani, che vissero il dramma con «pazienza, in un clima moderato». Si dice che in una comunità contino il sindaco, il farmacista e il prete: bussiamo dunque alla canonica di don Iginio Passerini, che regge la comunità pastorale. «Con la normalità – spiega – è tornato anche il calo della partecipazione ai riti, motivato da prudenza igienica, e quello delle nascite. E chi ha perso i propri cari senza poter dare l’estremo saluto conserva ancora un sentimento cupo». La normalità, insomma, ha due facce e te ne accorgi solo dai particolari. La gente fa la fila come sempre alla Premiata Pasticceria Cornali e come sempre acquista il biscotto Codogno. Che è fatto sempre con la stessa ricetta, da 120 anni. Eppure, per dartelo, la titolare Antonella deve sporgersi dal grande schermo in plexiglas che la difende ancora dal respiro dei clienti. Sorride: «Sì, questo è rimasto dal 2020. Per scaramanzia».