Il Messaggero, 18 febbraio 2025
I cent’anni di scienze politiche alla Sapienza
Ha sfornato tre premier la facoltà di Scienze politiche di Roma La Sapienza. Qui sono stati insegnanti o laureati – dentro una storia cominciata nel 1925 e ieri sono cominciati i convegni per il centenario, inaugurato dalla rettrice Antonella Polimeni e con docenti importanti tra cui Fulvio Lancaster, Stefano Ceccanti che fu chiamato in questa facoltà da Pietro Scoppola e «io mi sento umilmente un suo erede» – Aldo Moro, Giuliano Amato e Paolo Gentiloni. Tre capi di governo, appunto. Ma tre sono anche i professori di questa facoltà, che è stata e resta luogo di formazione della classe dirigente del nostro Paese, uccisi dal terrorismo rosso e uno dei tre (il primo è stato Aldo Moro e l’ultimo Massimo D’Antona) è stato colpito a bruciapelo, parliamo di Vittorio Bachelet sul mezzanino della scalinata di Scienze politiche da Anna Laura Braghetti e Bruno Seghetti, della colonna romana delle Br.«Io mi sono laureato nel 79 – racconta Gentiloni – e quello era davvero un periodaccio. Era stato ucciso da poco Moro e un anno dopo sarebbe stato ucciso Bachelet».E comunque anni di studio matto e disperato, in un luogo di eccellenza politico-culturale? Era senz’altro – incalza Gentiloni, nell’aula magna del rettorato una facoltà che einaudianamente, ti insegnava il “conoscere per deliberare”, e poi l’ex premier e ex commissario Ue aggiunge: «A quei tempi facevo più l’attivista politico che lo studente modello». Anche se poi si sarebbe laureato con 110 e lode in politica internazionale. E a quei tempi, si poteva vedere il grande filosofo cattolico Augusto Del Noce che scriveva e riscriveva i suoi editoriali per il Tempo di Gianni Letta. «All’inizio inviava al direttore – racconta il suo biografo Luciano Lanna, autore del monumentale: Attraversare la modernità. Il pensiero attuale di Augusto Del Noce - commenti lunghissimi e complicati. Poi imparò la dote della sintesi giornalistica e cominciò, per imparare il mestiere del commentatore, a recarsi dalla Sapienza alla redazione del Tempo a piazza Colonna».Negli anni 70 le Br erano infiltratissime nella facoltà, facevano trovare nell’armadio del prof. Alberto Monticone, oggi 94enne, ex parlamentare ed ex presidente dell’Azione cattolica, i loro volantini e un tale Compagno Silvio, un giorno, a lezione lo bloccò: «Lei deve parlare di rivoluzione e solo di rivoluzione!». C’era in aula il maresciallo Leonardi – che guidava la scorta di Moro, lo accompagnava anche all’università e proprio mentre si recavano a Scienze politiche lo statista pugliese sarebbe stato rapito nel 78 – che avrebbe voluto intervenire ma Monticone lo bloccò e disse al Compagno Silvio: «Io sto parlando di rivoluzione, quella del 1848».Patrioti contro estremisti? È stata un po’ questo la storia di Scienze politiche di Roma. Che è stata la prima, dedicata a questa materia, ad essere fondata in Italia. Al tempo del fascismo, ma anche allora con un’impronta liberale e infatti il regime, a cui interessava soltanto usarla, un po’ la soffriva. Vi insegnavano Gaetano Mosca e Vittorio Emanuele Orlando, lo storico immenso Gioacchino Volpe e l’economista Alberto de’ Stefani, ministro delle finanze di Mussolini poi odiato e condannati a morte dai fascisti. Questo è stata la prima facoltà di Scienze politiche. Poi ne sarebbero nate altre, compresa quella di Perugia. E da Perugia, per il convegno di ieri, è arrivato il professor Alessandro Campi e spiega: «Per esempio, nella mia città, la facoltà di Scienze politiche venne subito fascistizzata. Mentre quella di Roma riuscì a rimanere in fondo un’oasi di liberal-conservatori».Tale sarebbe rimasta anche nei decenni successivi. Dicono qualcosa i nomi di Costantino Mortati o di Giuseppe Capogrossi o di Armando Saitta o di Renzo De Felice? Restano ancora impresse, a chi c’era, le persecuzioni subite dal più grande storico del fascismo, che era repubblicano (come il suo collega e amico Rosario Romeo) e non affatto di destra. De Felice traslocò da Lettere a Scienze Politiche pensando di evitare gli eccessi dell’estremismo di sinistra. Ma si sbagliò. I collettivi studenteschi della nuova facoltà interrompevano le sue lezioni. Fecero un principio d’incendio nella sua abitazione. Sarebbe stato lasciato sulla cattedra di De Felice un volantino provocatoriamente intitolato «Rosso e Rosso», citazione del suo libro-intervista con Pasquale Chessa in intitolato «Rosso e nero», del 1995, definendo quel testo «l’ultima pallottola sparata alle spalle della nostra memoria storica, un prolungamento delle torture che i comunisti e i partigiani hanno subito dai boia fascisti di via Tasso».Questa era Scienze politiche, questa era l’Italia, ma a riprova che la buona cultura vince sempre, l’estremismo non c’è più – se non in forme caricaturali – e il centenario di questa facoltà racconta di una storia che continua e sta in buona salute.