La Stampa, 18 febbraio 2025
Intervista a Miriam Leone su Oriana Fallaci
Oriana Fallaci detestava l’idea che la sua vita finisse in un film. Diceva: «Che lo facciano quando sarò morta».
E infatti, il primo film su di lei è uscito nel 2015, nove anni dopo la sua morte, in due puntate, per la tv, si chiamava L’Oriana, la regia era di Marco Turco, la sua parte la faceva Vittoria Puccini. Stasera, su Raiuno, vedremo il primo di otto episodi della serie Miss Fallaci, interpretata da Miriam Leone e diretta da Luca Ribuoli, Giacomo Martelli e Alessandra Gonnella, e racconta solo una parte della vita di Fallaci, Oriana prima dell’Oriana, quando non era ancora quella che si tolse il velo – «un cencio» – davanti a Khomeini, ma era già quella che a Ingrid Bergman che le negò un’intervista dicendole che non era interessata a farne, rispose: «Si figuri io». Erano gli anni Cinquanta, voleva scrivere di politica ma l’Europeo la inviò in America per scrivere Hollywood, aveva poco più di vent’anni ed era già epica, già scrittore.
«Non voleva essere definita giornalista ma scrittrice, anzi scrittore. Scrivere per lei contava più di tutto, leggeva ad alta voce e cambiava le parole finché il ritmo e il suono non erano perfetti», dice alla Stampa Miriam Leone, che incontriamo a Sanremo, poco dopo aver co-condotto la terza serata del Festival insieme a Katia Follesa e Geppi Cucciari. Della serie, Leone è anche una delle sceneggiatrici.
Anche a lei piace scrivere?
«Sì, molto. Ma non farei mai la giornalista. Mi piacerebbe di più fare dei reportage, come quelli che faceva Oriana Fallaci, e che erano trattati di antropologia e atti d’accusa contro gli abusi di potere, soprattutto quelli contro le donne. Nel 1961 pubblicò Il Sesso Inutile, un reportage sulla condizione femminile nel mondo, in particolare quello mediorientale. Partì dopo aver subito una terribile delusione sentimentale, e non mi viene in mente niente di meglio da fare che partire per scrivere reportage dopo che ti viene spezzato il cuore».
All’inizio non voleva scriverlo e nemmeno partire.
«Perché non voleva diventare la donna che scrive di donne. Poi una sua amica le raccontò quanta fatica facesse nel suo lavoro, sebbene fosse più brava di molti colleghi, e allora lei ebbe chiaro che “i problemi fondamentali delle donne nascono anche e soprattutto da questo: il fatto di essere donne”».
Cosa crede che abbia pagato, di più, Oriana Fallaci?
«Non aveva mezze misure. Nella serie abbiamo raccontato molti momenti in cui sembrava capace di mandare all’aria tutto, amicizie, amori, la sua vita stessa. Era un’eroina romantica, per lei era sempre o tutto o niente. E questa altalena di sentimenti la portava a essere violenta prima di tutto contro se stessa. Aveva un carattere difficile e ne soffriva, ma una cosa che abbiamo voluto raccontare è la sua grande tenerezza e generosità: Oriana Fallaci era una che, quando andavi a trovarla, ti faceva trovare lo spezzatino, e ti regalava le presine ricamate. Poi, pagava l’ambizione, che in una donna è sempre un vizio, mentre in un uomo è una grande virtù».
E la vita sentimentale disastrosa?
«Quella è sempre stata raccontata, in fondo, come uno dei prezzi che pagava al suo brutto carattere. Ma la questione credo sia più profonda: in quegli anni, per una donna che lavorava come lei, e che girava il mondo per fare il suo lavoro, e che era grande, famosa, di successo, non c’era quasi nessuna possibilità di avere una vita privata tranquilla: era appannaggio di chi restava a casa, non importa se felicemente o meno».
Della Fallaci “divisiva” de La Rabbia e L’Orgoglio cosa pensa?
«Non è una parte della sua vita che raccontiamo. Ci siamo limitati agli anni tra il 1956 e il 1961, quando Fallaci parte per gli Stati Uniti e non sa una parola d’inglese, vuole intervistare Marilyn Monroe e non ci riesce, ma resta lì e comincia a raccontare le ipocrisie e gli strazi dei divi hollywoodiani, ed è lì che comincia a occuparsi di politica, anche se non se ne accorge, è lì che comincia ad affinare la sua qualità migliore: cercare la verità e raccontarla. Abbiamo voluto raccontare quegli anni perché sono un romanzo di formazione: in poco tempo, Oriana Fallaci diventerà un’italiana che racconta l’America, sarà in grado di tradurre i suoi stessi libri in inglese, e supererà un amore tossico che sembrava in grado di ucciderla. Questo è un tema a me molto caro: le donne finiscono ancora in relazioni violente o degradanti, e non riescono ancora a riconoscere in tempo dei narcisisti che le dissanguano, e faticano enormemente a distaccarsene. E invece farlo è possibile, esiste la psicoterapia, esiste un mondo più ricco di possibilità e più avvertito rispetto a quello in cui crebbe Oriana».
Insisto: cosa pensa Miriam Leone della Fallaci degli ultimi anni?
«Credo che avesse paura, come tutti. I suoi detrattori non hanno mai ricordato che Oriana Fallaci è stata una staffetta partigiana: aveva un amore per la libertà e la verità unici, incontenibili».
Però, a proposito di verità, è stata spesso accusata di romanzare le sue interviste.
«E lei aveva la risposta perfetta: “Io faccio parlare anche i silenzi”».
Qual è stata la cosa più faticosa, di lei, da interpretare?
«Non giudico mai i miei personaggi: me ne innamoro e mi immergo nel loro tempo e nelle loro storie. Non mi è pesato niente, e mi ha enormemente divertita la sua schiettezza, e ma la portavo durante le riprese, poi dicevo: “Non volevo rispondere così, è stata Oriana!”».
Come ha affrontato il rapporto che Oriana aveva con il corpo?
«Mi sono concentrata sullo sguardo che, come un mirino, puntava là dove voleva arrivare, quindi camminando verso un obiettivo, che per lei era sempre la verità, e concentrandomi sulla sua velocità di pensiero».
All’Ariston, Conti l’ha presentata come “eccellenza italiana da poco anche madre”. Le ha dato fastidio?
«La maternità è un tema da trattare con cura. Ho condiviso pubblicamente la mia esperienza positiva nel diventare madre, quindi no, non mi ha infastidita. Non credo che la maternità sia un destino obbligato per le donne ed è giusto che non ci chiedano più conto delle nostre scelte in merito, però è bello poter essere tante cose, incluso madri, e vorrei che non diventasse un tabù parlarne. Oriana diceva che “nessuno di noi è uomo fino in fondo o una donna fino in fondo. La nostra civiltà lo impedisce”. E quindi, ora che ci penso, sono anche donna e anche uomo».