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 2025  febbraio 18 Martedì calendario

Intervista a Serena Dandini

«Non era previsto che avessimo un futuro, era previsto che lo sposassimo».Serena Dandini riesce a mantenere il buon umore, in tempi in cui c’è poco da ridere.La testa ficcata dentro una matrioska di borse di tessuto colorato, cerca la sua sigaretta elettronica, mentre cita la celebre battuta di Nora Ephron. Ha scritto un divertente racconto sull’educazione sentimentale di un’adolescente sul finire degli anni Sessanta, tra la nascita del movimento studentesco e le disillusioni prodotte dalla madre di tutte le stragi. Una irripetibile stagione sospesa tra passato e futuro, tra il vecchio ordine patriarcale, i biscotti Doria, il buon senso dispensato dai periodici femminili e l’irruzione del tempo nuovo con la minigonna, il sesso libero e le canzoni dei Beatles sparate dai mangiadischi (C’era la luna, Einaudi Stile libero). «Mi piaceva raccontare l’energia positiva che ho respirato tra il 1968 e il 1969: è da lì che scaturiscono tutte le fondamentali riforme degli anni Settanta. Una formidabile vitalità spesso oscurata da una rappresentazione del periodo schiacciata sulla violenza politica».Il liceo Giulio Cesare, il quartiere Trieste, il Piper e il Filmstudio. Tutto lascia pensare a un romanzo autobiografico.«No, io non sono Sara Mei, la protagonista. Però in lei c’è molto di me».La famiglia di Sara appartiene al ceto medio, lei viene da una stirpe aristocratica: padre conte e madre marchesa.«Nobiltà papalina ma decaduta. Un tracollo finanziario di proporzioni importanti interruppe una consolidata agiatezza. Sarebbe potuta essere una tragedia, invece produsse notevoli vantaggi: una maggiore libertà per me adolescente, visto che i miei si concentrarono sul rovescio, e un addestramento precoce alla difficoltà. Potrei rivendicare anche io di essere una underdog, parola che oggi si porta tanto».Poco credibile, Dandini. Suo padre era un avvocato con grande sense of humour.«L’ironia l’ho ereditata da lui, forse pure meglio di un palazzo».È divertente nel libro la scoperta di possedere un’arma irresistibile.«Non avevo le fattezze di Twiggy né il cappottino rosso di Violante, la compagna irraggiungibile della sinistra bene. Però facevo ridere: era la mia spada Excalibur».Anche lei come Sara aveva il terrore di essere come sua madre?«Non sopportavo la sua arrendevolezza, parola che mi faceva venire l’allergia. Come in quasi tutte le famiglie italiane, anche a casa nostra vigeva il patriarcato. Io osservavo l’accondiscendenza di mia madre e facevo dentro di me il giuramento di Tara: non sarò mai come lei».Però c’è sempre un momento in cui ci si guarda allo specchio: toh mamma.«È successo, certo. Ma prima ancora è avvenuta una cosa importante, che ha segnato la mia crescita: ho capito chi era mia madre, ne ho accolto tutte le sue fragilità e ho potuto abbracciarle con tenerezza. E in fondo era stata lei a scegliere per me la scuola pubblica, dettaglio non secondario».Quella generazione di donne era condizionata da leggi e consuetudini codificate in norma.«L’uomo andava sulla luna e per la donna valeva ancora il detto “fimmina no maritata, fimmina male guardata”. Della sessualità non sapevamo niente, avevamo l’imbarazzo della verginità e la paura di restare incinte con pochi preliminari in mutande. Le ragazze madri erano avvolte da una tristezza indicibile e dei figli dei separati si parlava sottovoce, come di persone colpite da una inconfessabile menomazione…».L’elenco delle arretratezze è lungo: non esistevano né la legge sul divorzio né quella sull’aborto, e lo stupro era un reato contro la morale.«Non era stato ancora riformato il diritto di famiglia e l’uomo poteva sindacare su tutto, perfino sulla scelta della moglie di lavorare. Noi siamo nate sotto quel cielo grigio, regole vessatorie che ci confinavano in una condizione subalterna. E se nel decennio successivo molte conquiste sono state raggiunte, lo dobbiamo anche a quei ragazzi e a quelle ragazze che volevano cambiare il mondo. Oggi i più giovani hanno paura del futuro. Non lo nominano mai».Lei rivendica anche una gioiosa superficialità nel dare vita a questo cambiamento. La protagonista è attratta dalla politica ma anche dalle minigonne e dai reggipetti. E con l’urgenza di trovare la frasetta intelligente davanti ai film più incomprensibili.«Massì, sono io. E se allora lo vivevo con sensi di colpa, poi ho capito che si poteva tenere tutto insieme: militanza, ballo, le gonne accorciate di nascosto. Anche io come tante uscivo di casa con il cambio nella borsa, pronta per i pomeriggi al Piper. Non sempre ci facevano entrare, ma una volta sgattaiolate in discoteca era la scoperta di un mondo incredibile: un pezzo di Swinging London a Roma Nord».Il libro è scritto senza rimpianti, in presa diretta. Voleva evitare l’effetto nostalgia canaglia?«Detesto le celebrazioni passatiste che sanno di vecchio. Confesso di averlo scritto pensando soprattutto alle più giovani: se ce l’abbiamo fatta noi, che non avevamo internet né i social, potete farcela anche voi. È molto importante sapere chi eravamo percapire chi siamo e, soprattutto, chi non vogliamo diventare. È un attimo… e torniamo tutte indietro».È già accaduto. Oggi viviamo una stagione regressiva.«Ogni giorno perdiamo un pezzo di libertà. E inoltre viviamo in un mondo ancora più complesso, dove ci si ostina a non fare educazione sessuale nelle scuole, mentre i giovani vanno su YouPorn. Vogliamo delegare a un sito pornografico una materia così importante? Ed è significativo che una manciatina di soldi il governo l’abbia destinata non all’educazione sessuale, ma a un corso per insegnanti sull’educazione alla fertilità».Torniamo indietro di un secolo. E il patriarcato non mostra segni di cedimento.«Mi sembra che goda di ottima salute, nonostante il ministro Valditara la consideri una invenzione ideologica. Mi illudevo che un libro come Ferite a morte potesse essere buttato alle ortiche, non è così purtroppo. E nella testa di troppe donne sopravvive quella sindrome per cui, pur di essere accettate, si asseconda il potere esercitato dal maschio».Con alcune felici eccezioni, anche in tv prevale un’immagine femminile tradizionale, con la diffusa tendenza a issarsi sul tacco dodici.«Sul tacco penso ci debba essere piena libertà».Certo, ma più che libertà pare un obbligo. E proprio lei ha dimostrato che si possono rompere le convenzioni.«Ma mi ci è voluto molto tempo. La mia prima volta in tv negli anni Ottanta mi venne un colpo. Tutta truccata, infiocchettata e con un’enorme treccia posticcia: davanti allo specchio faticai a riconoscermi. Giurai che mi sarei dovuta sempre sentire me stessa. Ma non è stato facile: esistevano stereotipi molto forti che ricalcavano l’immaginario erotico del funzionario televisivo Rai. Solo trent’anni dopo, con il remake della Tv delle ragazze, ho osato per la prima volta le sneakers: non per coraggio, ma per un colpo della strega. Ricevetti commenti entusiastici, da allora mi sono liberata: si può fare!».Lei ha lavorato in una Rai che era scuola d’invenzioni, oggi che sentimenti nutre davanti alla tv di Stato?«La grande forza della televisione pubblica era la sperimentazione, un laboratorio permanente dove si faceva ricerca anche sbagliando; oggi si punta su format consolidati, mossi dall’urgenza di ottenere risultati che poi magari non arrivano. Certo poi non aiuta una politica che ti sta sempre con il fiato sul collo: il controllo dei partiti c’è sempre stato, io stessa finii nella lista nera di Berlusconi. Ma allora avevano spazio anche opinioni confliggenti, con margini di libertà. E soprattutto un tempo esistevano capistruttura con la schiena dritta, che abbracciavano un progetto e lo difendevano. Tu ti sentivi garantita».Perché le donne in tv non possono invecchiare?«Anche qui il discorso è molto soggettivo. Non condanno chi ricorre alla chirurgia estetica, anzi provo invidia per le mie coetanee con la pelle smaltata. Io non mi rifaccio, ma non per virtù piuttosto per paura. Ho paura della sala operatoria ma anche di perdere la stima di mia figlia. La vecchiaia è una cosa orrenda, però alla fine me ne faccio una ragione. Per fortuna il senso dell’umorismo non ha bisogno di lifting».