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 2025  febbraio 18 Martedì calendario

Intervista a Marion Cotillard

Marion Cotillard, lo sguardo così intenso, sembra la star di un’altra epoca, veste un’eleganza antica, ha un misto di malinconia e seduttività. Adopera parole semplici per verità profonde: «Se vogliamo che il mondo sia migliore, dobbiamo guardare a noi stessi con amore». Le diciamo che ricorda Papa Francesco. Lei sorride e cita Gandhi: «Sii il cambiamento che vuoi vedere».
Al cinema interpreta vite che hanno molto vissuto. Come Édith Piaf, che «mi ha cambiato la vita». La Vie en rose, che presentò proprio alla Berlinale nel 2007, la portò all’Oscar. Con La Tour de Glace di Lucile Hadzihalilovic, torna al festival per la terza volta: «Il mio debutto fu con War in the Highlands, nel lontano 1999. Avevo 24 anni».
E se ripensa a Édith Piaf?
«Lì cominciò la mia storia d’attrice. All’epoca non avevo idea del grande successo che avrebbe avuto, e di come sarebbe cambiata la mia vita».
Ora interpreta un’altra diva, dai tormenti non così lontana da Édith Piaf.
«Il film è un adattamento particolare della favola di Andersen La regina delle nevi, che conoscevo attraverso Frozen, il cartone della Disney. Lucile è un’artista che davvero crea un suo universo. Se c’è una cosa che accomuna il film al cartone, è come la paura influenzi le emozioni. Io sono un’attrice diva nella Parigi degli Anni 70, una donna glaciale che sta girando La regina delle nevi, e le due donne si rispecchiano l’una nell’altra. Mi comporto come una vera regina, umorale e instabile, potente e fragile».
Una diva forte ma vulnerabile.
«È tante cose, soprattutto enigmatica. Il suo mistero ho voluto mantenerlo anche per me. Ho familiarità con questo genere di personaggi, che non sai mai cosa stiano pensando. Quella donna esercita uno strano fascino su una giovane orfana (Clara Pacini) che scappa da un villaggio e trova rifugio in un palazzo semi abbandonato, che è il luogo dove sto girando il film. La regina delle nevi era il suo idolo da bambina. C’è una reciproca attenzione. Io la travolgo, la prendo sotto la mia ala. Cade sotto il mio incantesimo, che le sarà fatale, fino a un rapporto morboso mentre lei si affaccia alla vita adulta. È una fiaba che rispecchia tante relazioni del mondo di oggi».
Ma lei, che si batte per equità dei salari e contro ogni discriminazione, cosa pensa del divismo delle attrici?
«Non mi identifico con l’essere una star, fa parte del gioco dell’identificazione ma non è la mia aspirazione. Spesso il pubblico ha una percezione distorta degli attori, che non ci corrisponde. Io cerco di proteggermi restando ancorata al mondo reale. Per me, come ci siamo detti in passato, recitare è un’esplorazione dell’animo umano… A Cannes una volta il mio agente americano mi chiese di presentargli una mia collega francese; lei non parla inglese e non è interessata al cinema Usa. Non volle incontrare il mio agente».
È divismo, questo?
«È quello che mi viene in mente ora. Io rimasi sorpresa, prendiamo atto che ad alcune persone non interessa Hollywood. Il mio unico sogno era quello di fare l’attrice, mai avrei pensato di lavorare fuori dalla Francia».
Il divismo riguarda anche certi registi...
«Ci sono quelli che ti spingono oltre ogni limite per farti aderire alle sue idee. Io a quel punto o non sono brava nei loro film, o mi arrabbio o più spesso mi metto a ridere. Però ho imparato a domare l’insicurezza e amo tuffarmi nell’ignoto».
La scenografia innevata la riporta alla sua infanzia?
«Eccome, ricordo che quando nevicava la porta d’ingresso della nostra casa si bloccava e non andavo a scuola. La neve per i bambini ha qualcosa di magico, non capivo come facesse a cadere dal cielo. E ricordo che mia madre mi leggeva le favole, ma non questa».
Ci parla dei suoi inizi?
«Sono figlia di attori, avevo cinque o sei anni, mia madre mi portava a teatro con lei e il regista mi chiese di fare qualcosa. C’era un’attrice che impersonava mia madre, ma in scena c’era anche mamma e io non capivo, ero confusa. Fu la mia prima volta sul palco».
Come si passa da Asterix ai Dardenne?
«Sono fortunata ad attraversare mondi diversi. Quando scelgo di fare un film, non mi interessa di sapere a quale genere corrisponda, se sono commedie o drammi. Non mi piace pianificare. A dirla tutta, mi piacerebbe fare più commedie perché esco dalla mia comfort zone, è un tipo di cinema più difficile dove avrei un sacco da imparare».