Corriere della Sera, 18 febbraio 2025
Pentema, il paesino che tenta il rilancio
È la sera, gelida, del 24 dicembre 1994. Nella chiesa ottocentesca di Pentema una manciata di fedeli intabarrati ascolta l’omelia natalizia di don Pietro Cazzullo. Le sue parole rimbombano, per quanto è grande ma spopolata la navata. Sono tutti un po’ tristi. Il destino del paese sembra segnato. Senza futuro. «La messa è finita, andate in pace. Ma prima – rivela a sorpresa intorno alle 23 don Pietro fiutando l’aria mesta che lo circonda – devo dirvi una cosa: l’anno prossimo questa chiesa sarà piena di gente. Per adesso non posso aggiungere altro, perché da qui a mezzanotte ho ancora un paio di funzioni da celebrare in altre parrocchie e devo andare via. Ma credetemi, cambierà tutto». Ora, se c’è qualcosa che caratterizza i genovesi sono il pessimismo e il mugugno. Ma qui siamo oltre Genova. Siamo nell’entroterra più selvaggio, all’estremo di una valle dove, a 800 metri d’altitudine, nel 1435, qualcuno ha dato vita a questo «che viene considerato – ridacchia padre Cazzullo, oggi 83 anni – l’ultimo paese creato dal Signore». Figuriamoci dunque che tipo di aspettativa poteva aver creato lassù sulle montagne l’echeggiante profezia del parroco… «Ma avevo le idee – racconta il prelato – ben chiare fin da subito. Passate le feste, ho quindi chiesto ai pochi abitanti di Pentema di raccogliere vestiti, scarpe e attrezzi appartenuti ai loro padri, ai loro nonni. Poi sono andato giù in città e negozio per negozio, persino all’Upim, ho chiesto in regalo manichini che non sarebbero stati più utilizzati. Li ho portati lassù e con un gruppo di volontari, vincendo la diffidenza endemica di queste popolazioni, abbiamo dato vita a un presepe diffuso ambientato all’interno del paese. Risultato? Alla messa di Natale del 1995, la chiesa era piena di gente. È stata una grande soddisfazione». Ancora oggi il presepe viene riproposto ogni anno tra gli archi, i vicoli, le case e le aie. Ricorda un’epoca storica lontana, attraverso un’attenta ricostruzione di ambienti e mestieri. I personaggi esposti a grandezza naturale sono vestiti con costumi d’epoca e inseriti nei punti del borgo dove realmente lavoravano e vivevano. «Ogni anno – racconta Rosa Vita, combattiva abitante di Pentema (“Eravamo una sessantina, ora siamo quasi dieci”) e chissà che cosa vorrà dire quel “quasi”… – più di tremila persone salgono quassù per il presepe. Ero presente alla funzione tristissima del 1994 e don Pietro è stato davvero geniale. Ma adesso dobbiamo fare di più».Fare di più significa restituire dignità a questi luoghi unici, che nonostante siano parte integrante del Parco Regionale Naturale dell’Antola sono stati praticamente dimenticati dalle istituzioni. La Val Pentemina e la vicina Valbrevenna hanno subito un pesante spopolamento a partire dagli anni Cinquanta. Terre povere e faticose abbandonate dai contadini andati a lavorare nelle fabbriche di città e da intere famiglie emigrate in Sudamerica... Di quel passato rurale restano abitazioni in pietra bellissime (e oggi vendute per pochi spiccioli), sterminate foreste di castagni secolari e terrazzamenti che meriterebbero maggior rispetto per frenare il bosco che avanza. Ma tutto è affidato alle braccia e alla buona volontà dei pochi abitanti delle frazioni e di chi lassù arriva nei fine settimana o d’estate per godersi un po’ di pace nella seconda casa lontana da traffico e inquinamento. «Il territorio offre grandi possibilità, lo conosco bene, ci sono cresciuta su questi monti e parlo con il cuore. Si possono creare itinerari turistici per l’osservazione degli animali, siamo ricchi di caprioli, daini e cinghiali. Raccogliere funghi e castagne. Dobbiamo ripristinare i vecchi sentieri che collegano un paese con l’altro e le varie valli tra loro…».Rosa Vita parlerà anche con il cuore ma intanto, concretamente, dal 2023, supportata da un manipolo di volontari, ha dato vita a una Cooperativa di Comunità che oltre a rendere oggi Pentema un luogo accogliente (c’è una casa-museo ricca di oggetti d’epoca ed è stato addirittura riaperto il bar) punta a un ambizioso progetto di rinascita definitiva della valle. Come? L’obiettivo è creare centri di reddito sostenibili, posti di lavoro in attività che sappiano attrarre nuovi residenti. Nuclei familiari che rendano disponibili servizi per turisti e abitanti.La comunità della Val Pentemina si è già fatta avanti; 33 soci fra cui il parroco hanno versato 33 mila euro di capitale, il Gruppo ricreativo sportivo ha raccolto fondi da donatori e sponsor e messo a disposizione 35 mila euro. Così il capitale e arrivato a 68 mila. La Fondazione San Paolo ha donato 15 mila euro. Il fondo di sistema della lega delle cooperative, Coopfond, 50mila. Nel giro di sei mesi sono stati incassati 133 mila euro. Tanti ma non abbastanza. Per questo è partita un’azione di crowdfunding (il link per chi volesse contribuire: https://sostieni.link/37083).Intanto è stata acquistata la vecchia locanda abbandonata di Ca’ di Gianchi. Ed è partito il progetto di ristrutturazione che prevede una sala con 30 coperti, una cucina, 5 camere per l’accoglienza turistica cui si aggiungono stanze in altre abitazioni, un negozio per valorizzare l’agricoltura territoriale.«Il traguardo è ambizioso – dice Rosa Vita – ma siamo determinati e contiamo sull’aiuto di tutti. Luoghi come questi sono memoria e rappresentano il sacrificio di chi ce li ha lasciati in eredità».Anche padre Cazzullo spera e prega: «I potenziali sono enormi, rilanciare questi luoghi sarebbe un miracolo». E lui, che si chiama Pietro come l’apostolo a cui è intitolata la chiesa di Pentema, il suo miracolo l’ha già fatto quando quella notte di Natale di trent’anni fa, insieme con Gesù bambino, grazie a un’intuizione ha fatto rinascere anche questa perla incastonata nell’Appennino Ligure.