il Giornale, 17 febbraio 2025
Intervista a Veronica Antonelli, madre di Kimi
Due foto di Ayrton Senna al volante della McLaren su una parete azzurra come il cielo. Montecarlo e Spa. Una libreria stracolma, ma ordinata, di libri sullo sport: Ayrton, Riccardo Patrese, Le Mans la sfida del secolo, ma anche l’autobiografia di Rafa Nadal. La patente di guida appena presa è lì come un trofeo, con la foto di Hamilton, un ritratto di Ayrton e un suo autografo in originale incorniciato, il ricordo di Ratzenberger Roland Forever, Kimi con i colori Mercedes tra gli amici della Prema ed ancora un tripudio di coppe di tutte le forme. Passato, presente e futuro prossimo racchiusi in pochi metri con l’angolo dei trofei tantissimi – che precede la cameretta di Andrea Kimi Antonelli nella casa dei genitori a Casalecchio di Reno alle porte di Bologna.
Domani, la F1, al gran completo, si presenta a Londra. «Prego, accomodati» dice Veronica, la mamma di Kimi. Ci sediamo in sala, elegante ma senza fronzoli, si affaccia su un grande terrazzo allestito con un bel barbecue ed un tavolo enorme. Accanto al divano il simulatore Mercedes che Kimi usa per allenarsi per le partenze. Sapore di casa ovunque, sul tavolo fiori bianchi ed un vassoio di pasticcini. Benvenuti a Casa Antonelli. Con un marito ex pilota e oggi titolare del team AKM, un figlio precoce che ha bruciato le tappe e a Melbourne venerdì 14 marzo debutterà nel Mondiale F1 a fianco di George Russel sulla Mercedes che fino a pochi mesi fa era stata del sette volte campione del mondo Lewis Hamilton, Veronica Antonelli è a suo agio con la velocità.
Che effetto fa sentirsi dire che Toto Wolff ha scelto il giovanissimo Kimi per il talento ma anche per la persona che è?
«È il complimento più bello. Vuol dire che abbiamo seminato bene», sorride».
Appassionata di motori?
«Non lo ero, ma lo sono diventata visto che da 28 anni lavoro in questo ambiente».
Lei a cosa ha dovuto rinunciare?
«Il nostro lavoro lascia poco spazio per il resto: sei sempre in pista, 7 giorni su 7... io ero impiegata in posta».
La velocità per lei?
«Stranamente non ho paura, sento più lo stress della competizione».
Kimi bambino.
«Era fantastico. Aveva un mese ed era già con me nel paddock perché con Marco, mio marito, abbiamo un team. Ricordo che lo addormentavo nel passeggino mentre rombavano le macchine nel box. In cameretta aveva il poster di Spiderman, perché gli piacciono i supereroi e poi macchinine a terra sparse ovunque. Credo di averne comprate a centinaia. Kimi passava ore a giocare: le metteva tutte in fila per terra, faceva le gare e anche la telecronaca e alla fine vinceva sempre lui».
A 5 anni era già sui kart.
«Era un Delfino, 35 di cilindrata. Era stato per accontentarlo perché Marco aveva sempre detto: Lui non correrà mai. Era un modo per proteggerlo dalla sua stessa delusione di non esser riuscito a fare carriera da pilota professionista, nonostante il talento e i risultati».
Il kart era un gioco?
«Ad Andrea piaceva molto ed anche a Marco. Gli anni sono volati. Nel 2015 iniziò a correre. Stavamo tanto fuori di casa, 30 gare a stagione in Italia e all’estero. L’ho sempre accompagnato io e in quegli anni ho provato a dissuaderlo perché pensavo impossibile arrivare dove siamo adesso. Lui mi guardava come a dire: Ma questa è matta! In cuor suo sapeva che quella era la sua strada».
Quando ha capito che camminava già sulle proprie gambe?
«C’è stato un periodo in cui io e il padre pensavamo che Andrea non fosse portato per le competizioni. La velocità ce l’aveva nel sangue, ma era ancora un bimbo, si faceva intimidire dagli avversari e soffriva la pressione. Un giorno ha svoltato e non è più tornato indietro: ha unito la velocità con tutto quello che serve per essere un pilota forte. Avrà avuto 11-12 anni. Ho capito che aveva spiccato il volo».
Sarà un supereroe per i tifosi. E per la mamma?
«Per me è sempre e solo mio figlio, che aiuto a preparare la valigia, presente ogni volta che ha bisogno. Abbiamo un bellissimo rapporto. Mi fa strano vederlo in tv o sui giornali».
Cosa ha preso da voi?
«Tante volte con il padre ci domandiamo: ma di chi è questo figlio? Ha messo insieme tutte queste esperienze di una vita da zingaro e le ha fatte sue. È unico: estroverso, allegro, altruista. È buono, ma sveglio. In cosa ci assomiglia? Cerchiamo di sorridere sempre alla vita».
Per vincere bisogna avere fame.
«Scende in pista per questo. Non ci sono altre opzioni. Se sbaglia, cerca subito di imparare la lezione perché vuole dimostrare a se stesso che è capace, e a Mercedes che non si è sbagliata».
La scuola?
«Ha sempre studiato, il 6 gli andava stretto. In quinta superiore a giugno dovrebbe dare la maturità, ma è un anno impegnativo».
Maranello è vicina, mai tifato la Rossa?
«Da italiano chi non tifa Ferrari? È vero anche che Kimi è entrato nell’Academy Mercedes a 12 anni per cui per noi è diventata presto una seconda famiglia».
Per una mamma il momento delle gare è molto speciale.
«Devo essere sola. Ai tempi dei kart spesso mi rifugiavo in auto, lontano dal commento degli altoparlanti».
Andrà al Gp d’Australia?
«Andiamo tutti a Melbourne, anche la sorella Maggie, la sua prima tifosa. Non so ancora se guarderò la gara. Se ho paura che si faccia male? No, non ci penso mai».
Nel 2023 Kimi ha fatto i conti con il lato più buio del motorsport.
«A Spa nel tragico weekend dove perse la vita Dilano Van’t Hoff, Andy vinse la sua prima gara in Freca (formula Regional). Non aprì bocca per 2 giorni. Alla fine mi confessò che gli dispiaceva tantissimo, ma che non aveva mai dubitato di continuare a correre. Andò al funerale».
Fa venire i brividi anche la foto di Ratzenberger nella sua camera.
«È sensibile. Ha conosciuto i genitori ad Imola».
Sinner augurò ai ragazzi genitori come i suoi, capaci di sacrificarsi per i figli.
«Mi ritrovo in queste parole. Da mamma, di fatto, ho consegnato Andrea a Wolff. Quando lo nomina come secondo padre, è vero».
I tifosi italiani saranno divisi?
«Riceve tantissimi messaggi anche dai ferraristi che gli scrivono: facciamo il tifo per Ferrari, ma anche per te perché sei italiano. Ed è una bella cosa».