La Stampa, 17 febbraio 2025
Intervista a Luca Marinelli
«Credo che siamo tutti, fortemente, vittime sofferenti di un sistema patriarcale che non si sa a chi abbia fatto bene, io penso a nessuno. Stiamo facendo delle grandi rivoluzioni in questo campo, dobbiamo andare avanti, questo è semplicemente un inizio, ma io sono fiducioso, le cose cambieranno». Luca Marinelli è il protagonista di Paternal leave il film, ieri in cartellone alla 75esima Berlinale, in cui recita diretto, per la prima volta, dalla moglie Alissa Jung, esordiente dietro la macchina da presa con una storia che parla di un uomo in fuga dalla paternità: «La vita – dice l’attore – può essere molto difficile, ma anche meravigliosa, sono innamorato di questa storia».Dalle macerie del vecchio sistema familiare, basato proprio sul patriarcato, sembra stiano emergendo spesso figure di genitori inadeguati. Come si fa, secondo lei, ad essere un buon padre?«Grazie al femminismo stiamo tentando di rovesciare un patriarcato che è sempre stato, per uomini e per donne, un problema gravissimo. Vivendo nella nostra famiglia, con Alissa, che ha due figli dal suo primo matrimonio, ho imparato che la cosa più importante che i genitori possono fare è ascoltare i propri figli e imparare da loro. I figli, rispetto a noi, sono molto più collegati al tempo presente. Noi abbiamo più esperienza, ma loro vivono l’oggi. Ci deve essere sempre uno scambio».Come definirebbe oggi il ruolo dei padri e delle madri?«La prima cosa da fare, secondo me, è levare di mezzo le definizioni. Un padre e una madre devono essere semplicemente persone che ci sono, presenti, e in ascolto. Le etichette non servono. Che cos’è un “buon padre”? Non possiamo saperlo, io non ne ho idea, forse deve essere un padre e basta».Nella vicenda di Paternal leave c’è un padre che scappa da una figlia, Leo (Juli Grabenhenrich), a suo tempo rifiutata. Poi, finalmente, si ferma, e prova ad esserci. Perché oggi è così difficile essere padri?«Nel film vediamo che la figlia è molto più avanti del padre. Nel momento in cui si mette ad ascoltarla, lui capisce che sta vivendo la più grande fortuna della vita».Uomini che si sottraggono. Anche alle responsabilità fondamentali. Che ne dice?«A ognuno di noi capita di essere fragile e vulnerabile, quello che cambia è il tipo di risposta. Scappare è quella peggiore, un atteggiamento che non aiuta nessuno, né chi fugge da se stesso, né chi gli sta intorno. Tutti possiamo ritrovarci in queste situazioni, è la reazione che fa la differenza».Il suo personaggio vive da solo, a contatto con la natura, fuori dalle convenzioni. Un sogno un po’ hippie, che sta tornando a diffondersi. Lei l’ha mai provata?«Sì, è una pulsione che in parte mi appartiene. Credo sia giusto passare del tempo con se stessi, è una cosa importante. Poi, certo, bisogna capire che cosa questo comporti. Se ti spinge a vivere su un atollo, lontano da tutti, magari non è molto utile. È bello essere insieme, e ogni tanto ricavarsi momenti di solitudine».Lei e l’autrice siete una coppia. Com’è stato lavorare fianco a fianco?«Molto entusiasmante, ma siamo anche stati molto professionali. Ho incontrato una grandissima regista che mi ha dato la possibilità di esplorare qualcosa di più di me stesso e di questo lavoro. Le ho detto che avrei letto il copione e che avrei fatto il film se mi fossi sentito utile al progetto. È stato profondamente emozionante essere testimone della nascita di tutto».Sua moglie le ha fatto il provino?«Forse senza saperlo… Comunque io e Alissa vediamo il mondo alla stessa maniera, abbiamo più o meno gli stessi gusti, quando lei vede un film e le piace, quasi sicuramente piacerà anche a me e viceversa, non c’è una persona nella mia vita che conosco così tanto e in cui ho così tanta fiducia. Sul set è stato tutto molto naturale, sapevo che Alissa, conoscendomi così bene, mi avrebbe spinto a fare qualcosa di nuovo. Con lei sarebbe stato impossibile nascondermi o affidarmi a qualche scorciatoia tecnica, un po’ più comoda».Non avete mai litigato?«Forse una volta».Viene dall’esperienza della serie M Il figlio del secolo. Ora che in fase è della sua carriera?«Sono concentrato su questo momento così importante. Ringrazio tutte le persone che hanno visto la serie, e, se dovesse esserci un seguito, io, insieme al regista Joe Wright, sarò lì. Sono grato a chi ha capito il senso di M e alle persone che si sono sentite chiamate in causa perché sanno quanto è importante oggi essere presenti, partecipare alla nostra vita di comunità, alla nostra storia, al processo di miglioramento della nostra società. Soprattutto alla voglia di abbandonare certi orrendi retaggi che ci portiamo ancora dietro dal passato».Vive qui a Berlino, lavora spesso in Italia e altrove. Dove immagina il suo futuro?«Mi piacerebbe essere proiettato un po’ ovunque. Ho una grande curiosità, in Italia ho avuto la fortuna di partecipare a imprese meravigliose, nazionali e internazionali, come Le otto montagne, in cui mi sono trovato a recitare con gente del mio Paese e anche di posti diversi. Vorrei lavorare ovunque, ho voglia di condividere questo mestiere che amo con tutte le persone che lo fanno».Nei titoli di coda del film canta una canzone.«Alissa mi ha chiesto una volta quale canzone mi sarebbe piaciuto interpretare per il protagonista della sua storia. Mi è venuta in mente Solo per gioco di Giorgio Poi, un mio carissimo amico, perché mi emoziona tantissimo. A un certo punto dice “e tu che mi capisci bene, rimani un po’. Comunica un senso di umanità, che dovremmo avere tutti, o almeno ricercare, magari anche chiedere. Stare con chi ci capisce, e fare due chiacchiere».