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 2025  febbraio 17 Lunedì calendario

Il secolo snob del New Yorker

Nel 1998 la giornalista Lillian Ross scandalizza Manhattan con il libro di memorie Here but not here, cronaca dei quaranta anni spesi come amante di William Shawn, suo leggendario direttore al settimanale New Yorker. Ross, che aveva intervistato nel 1950 Ernest Hemingway in un ritratto iconico – lei 24 anni, lui 51 a ripeterle «Figlia mia!», facendo la figura da ubriacone molesto – rompe con coraggio l’omertà del New Yorker: il direttore profeta, la redazione snob, gli scrittori famosi in coda con l’inedito, il lettore pensoso fra townhouse del Village, spiagge a Cape Cod, college del Mid-West. Lillian Ross racconta una vita da adulteri, il telefono diretto installato per lei da Shawn, «la prima chiamata al mattino, l’ultima di notte», la moglie complice dolente, la redazione a coprire gli amanti.Solo al New Yorker, settimanale fondato il 21 febbraio del 1925 – con il cartoon del dandy Eustace Tilley in copertina – da Harold Ross, che lo dirige sino alla morte nel 1951 con la consorte Jane Grant (dimenticata dagli storici), una simile saga di lettere e lenzuola, cultura e amori, giornalismo e segreti può fiorire e questa atmosfera di copertine e passioni durare un secolo. Per essere ora celebrata con una mega mostra alla Public Library di New York sulla Quarantaduesima Strada, fra reprint delle vignette caustiche, il Rigatone Serio che chiama il Fusillo Estroso «Come stai vecchio svitato?», dibattiti sul futuro in America, concerti.Per gli eredi di Ross e Shawn però celebrare i cento anni sotto il presidente Donald Trump è amarissima nemesi, da fedeli progressisti hanno sempre raccomandato di votare i democratici, fino alla provocazione di Obama con la moglie Michelle in copertina, sotto il ritratto di Osama bin Laden, e si vedono costretti da una Casa Bianca che grazia i golpisti di Capitol Hill e deporta gli emigranti in catene.La staffetta Harold Ross-William Shaw regna al New Yorker dal 1925 al 1977, debuttando in una cucina del rione Hell’s Kitchen, con le riunioni tenute al bar dell’Algonquin Hotel, dove un giorno il direttore Ross sorprende la brillante scrittrice Dorothy Parker, amante dei drink al punto da avere un cocktail in suo nome, champagne, vodka, liquore al lampone e Triple Sec. «Che ci fai qui Dorothy? Non dovresti essere in redazione al lavoro?», chiede corrucciato Ross, e la civettuola Parker, amica del comico Harpo Marx e tanto di sinistra da finire poi nella lista dei comunisti messi al bando dal senatore McCarthy, risponde alzando il bicchiere: «Direttore, mi han fregato la matita…».Ripercorrere, nella stagione degli algoritmi AI, l’epopea del New Yorker suscita nostalgica ironia, con l’ossessione maniacale per la precisione di Ross&Shawn, ereditata dall’attuale direttore David Remnick, a capo della redazione dal 1998. Quando il geniale scrittore John Cheever, che Shawn trattava da impiegatuccio («mi paga giusto quanto basta per comprare un abito ogni due anni»), narra la giornata di un addetto agli ascensori, nel malinconico racconto Clancy nella Torre di Babele fra poveri, gay, emigranti, Ross gli obietta: «Clancy è anziano, per le norme sindacali non dovrebbe fare i turni da mattina a sera», riservando poi al sofisticato Lionel Trilling un rimprovero che andrebbe perpetuato ad ogni critico: «Mi spiace quando il recensore parla del libro come se tutti lo avessero già letto alla perfezione, sapendo bene cosa recita a pagina 236...».Ricevuto il ritratto di Matthew Josephson su William Knudsen, pioniere dell’automobile, Shawn elogia entusiasta l’autore: «Fantastico articolo! Ti mando un paio di note» e inoltra all’esterrefatto collega 178 punti da chiarire. Lo scrittore J.D. Salinger, che dal New Yorker arriverà a Il giovane Holden, diceva di Shawn: «Era umile in modo pazzesco per essere il miglior artista-giornalista», notando tuttavia come centralizzasse ogni scelta, mentre Ross delegava ai capiredattori definiti, con la solita arroganza, «I miei Gesù». Harold Brodkey, maestro dei racconti di Storie in modo quasi classico, sottovoce concludeva: «Shawn è mezzo Napoleone e mezzo San Francesco», mettendo in pagina Truman Capote, Nabokov e Alice Munro, con le illustrazioni di Steinberg, Spiegelman, Tomine.Non sono mancati nei decenni errori e pregiudizi, dal buffo no alla pubblicità dei bagni, «nessun cesso sulle nostre pagine!», alla bocciatura per le firme della beat generation, troppi i riferimenti al sesso già costati cari al pur timido Cheever, con Jack Kerouac messo alla porta dalla puritana Katharine White: «Speriamo la smetta di scrivere roba su ragazzacci selvaggi!». Quanto a Philip Roth, prima del successo del Lamento di Portnoy, arriva lo stop del New Yorker, con la severa Rachel MacKenzie a rimandargli indietro il capolavoro Goodbye, Columbus: «Non solo è troppo lungo… ma il buon gusto mi costringe a escludere tutto quel che contiene».Tina Brown, sola donna direttrice 1992-1998, arrivata da Londra e irrisa dai redattori («Una Stalin in tacco 12») appunta «il sessismo corrente, il mio collega a capo del magazine GQ veniva pagato dalla casa madre, Condé Nast, il doppio di me…». Chi non ama il sussiego perenne della rivista, ne cita il ritardo sulla rivoluzione tecnologica, anticipata dal rivale The Atlantic già con lo storico editoriale “As we were” di Vannevar Bush nel 1945, o le ingenuità chic, celebre il ritratto del 2008 in cui Tom Mueller descrive stregato il debutto in politica di Beppe Grillo, il solo a difendere le donne dagli stupri («Dove sono finite le femministe?»), assimilandolo al Dalai Lama e chiudendo con il comico che canta la sera per i contadini sardi: «la sua voce bassa degna di Ray Charles…».Poco importa: per tutto il 2025, reso smilzo dalla crisi della pubblicità, con la rubrica “Talk of the Town” ridotta a colonnino modesto, The New Yorker vivrà la sua Festa Mobile in stile Hemingway, tra glorie di ieri e futuro incerto, perché, sorride un reporter veterano a bar Sardi’s: «Altro che segreti fra Shawn, Ross e Salinger, l’AI cinese Deep-Seek ci pensiona tutti quanti…».