la Repubblica, 17 febbraio 2025
Robot profumati per distinguerli dagli umani
A vederla sembra una dama d’altri tempi, con i capelli raccolti e rigida come una statua di sale a grandezza quasi naturale. La sua lunga gonna bianca però nasconde cavi, schede memoria, circuiti che le permettono di muoversi. E soprattutto, la sua “pelle” immacolata profuma. Di cosa? «Semplice, di robot». Si chiama “ScentDia” l’ultima frontiera della ricerca che studia come far convivere macchine sempre più capaci di imitare gli umani, con chi umano lo è per davvero. «Una scultura robotica tra arte e filosofia, ma anche un robot sociale unico al mondo», assicurano i suoi inventori, pronti a esporla per la prima volta venerdì al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano.Questa dama bianca che emana un inedito afrore volutamente robotico è appena arrivata dall’Australia dopo essersi imbarcata su un volo diretto a Malpensa: nasce dalla collaborazione dell’University of New South Wales di Sydney, dov’è stata costruita, con il Centro di ricerca sui sistemi complessi della Libera università di lingue e comunicazione. «I robot sociali stanno entrando sempre di più nelle nostre vite», spiega Luisa Damiano, filosofa della scienza dell’ateneo milanese che rientra nella sempre più nutrita schiera di umanisti al lavoro, accanto agli innovatori, per affrontare le sfide etiche e i grandi interrogativi che le nuove tecnologie comportano.Oggi esistono umanoidi guidati da sistemi di Intelligenza artificiale usati da chi sperimenta nuove strade nell’assistenza di anziani soli. Robot di ogni dimensione che parlano, sorridono, ammiccano, che hanno espressioni simili a quelle umane per aiutare bambini con bisogni speciali, oppurechi soffre di malattie neurodegenerative come l’Alzheimer. «Comunicano attraverso segnali compatibili con i nostri e i terreni di sviluppo sono vastissimi, dal supporto nelle attività mediche alla ristorazione fino all’intrattenimento e il marketing». Se però la ricerca muove passi in avanti rapidissimi, una delle domande che si ripropongono con insistenza è questa: come non confondere i piani e progettare macchine che non possano mai sostituirsi a noi in futuro?Secondo Mari Velonaki, studiosa dell’università di Sidney che da anni indaga l’interazione fra robot e uomo, una delle risposte passa dal nostro naso. È sua l’idea, poi sviluppata insieme alla filosofa di Iulm e all’artista profumiere Manos Gerakinis, di dare forma e sostanza a un robot che faccia sentire la sua presenza con un odore preciso, «un fattore molto potente nella nostra socialità – spiega Damiano – radicato nella nostra storia evolutiva». Un profumo dunque diverso da un fiore, da un animale. O ancor più, da quello di un essere umano. Qualcosa di inconfondibile, che segni un confine netto quando in futuro potremo trovarci a condividere con loro spazi come una stanza, un’aula, un luogo di cura.Se detta così può far sorridere, «dietro c’è una scelta filosofica ed etica precisa: vogliamo contribuire a creare un’identità nuova, altra da noi: quella del robot». Ecco quindi il primo robot sociale con stimoli olfattivi pronto a sbarcare al museo del capoluogo lombardo. Fa parte della serie Diamandini e ha fattezze di un’opera d’arte, ma non solo sa interagire con chi la circonda: muovendosi lascia una scia olfattiva. «Stare al passo con i tempi significa non solo adattarsi al futuro, ma contribuire a plasmarlo con visione, consapevolezza e sviluppando un solido pensiero critico», commenta Valentina Garavaglia, rettrice dell’ateneo milanese.Qual è, dunque, il primo profumo di una donna robot? «Smoky, metallico, mescolato a essenze che ricordano la Grecia e l’Australia, dov’è nata», sono gli unici indizi concessi dai suoi inventori, che lasciano su “ScentDia” un po’ di mistero, come a dire: venite ad annusaree capirete.