Corriere della Sera, 17 febbraio 2025
Intervista a Gianluca Torre, immobiliarista in tv
Gianluca Torre ha vissuto molte vite. L’ultima però, è stata una sorpresa anche per lui. Perché se tu fai l’agente immobiliare è difficile ipotizzare che la gente ti fermi per fare un selfie, Fabio Fazio ti inviti a Che tempo che fa, Ubaldo Pantani faccia la tua parodia, Geppi Cucciari scherzi con te in tv. Eppure, da un anno a questa parte, questa per Torre è la normalità. Che si somma a quella di agente immobiliare di successo, lavoro che continua a fare con passione. Anche se, nel mentre, grazie al programma di Real Time Casa a prima vista, è diventato uno dei volti televisivi del momento, alla guida anche di un videopodcast, Casa perfetta, in cui i vip (da Diletta Leotta a Linus) si raccontano con generosità.
Se lo sarebbe mai immaginato?
«No è assurdo. La fama può essere sterile, ma quello che mi colpisce è l’affetto della gente. Mi scrivono di tutto, chiedono video, messaggi di auguri. Non riesco a rispondere a ognuno, ma cerco di accontentare più persone che posso. È carino dare una gioia, seppure effimera. Ricordo quando io, bambino, ho incontrato Evaristo Beccalossi, grande giocatore dell’Inter: l’ho visto ed ero felice. In tanti bimbi rivedo quel sapore quando si avvicinano a me, bellissimo».
Lei è diventato uno degli agenti immobiliari più noti d’Italia, eppure questo non è da sempre il suo lavoro, vero?
«No, ho iniziato a lavorare nel mondo della pubblicità, in particolare nel digitale, ai suoi alborissimi, nel 1997. Mi ero da poco laureato in Economia e sono entrato in questo mondo molto luccicante, in un settore che stava esplodendo ma di cui ancora si capiva poco: in Italia c’erano soltanto 600.000 persone che usavano internet. Da lì a poco sono diventati il doppio, poi il triplo, poi è esploso. È stata un’esperienza esaltante perché, dal niente, siamo arrivati a fatturare oltre 10 miliardi, quando c’erano le lire, e con gli euro siamo arrivati a 7 milioni e mezzo».
E poi cosa è successo?
«La crisi del 2008. I fatturati calavano e io non vedevo più futuro in quel mondo. L’immobiliare è stato il bivio più intelligente e comodo: mi calzava alla perfezione».
Perché proprio l’immobiliare?
«Da osservatore dei costumi, ho assistito a questa grossa crescita di Milano: l’ho respirata da subito. Quando c’è stata l’ultima finale di Champions League in città, il 28 maggio 2016, ricordo che ho camminato a lungo, da solo, e ho avvertito la conferma di una grossa internazionalizzazione. Milano è entrata sempre più in orbita europea e questa cosa si riflette sull’immobiliare: la città stava decollando ma, al contempo, i prezzi degli immobili erano ancora bassi. Ci ho intravisto una possibilità. Poi ho comprato una piccola casetta, l’ho rifatta e l’ho rivenduta al doppio. Mi sono detto: non è un abbaglio».
E ha iniziato la carriera di agente.
«Sì, sei anni fa, entrando in una grande agenzia. Prima ho fatto il corso intensivo per diventare agente immobiliare e poi l’esame, passando. Sono serviti un paio d’anni per ingranare».
Poi è entrato più o meno sempre nella top five di chi vendeva di più in Italia.
«Mi sono trovato come un topo nel formaggio. Credo abbia funzionato il fatto che molto facilmente entro in empatia con il 90 per cento delle persone. E questo ti favorisce, perché la gente immobiliare deve essere una persona di cui ti fidi. Vendere casa è un processo delicato. Serve anche tanta serietà: devi essere credibile».
Tra tutti gli agenti di Casa a prima vista lei è quello con il seguito più clamoroso sui social.
«E dire che prima avevo un profilo privato. È stata Warner (Discovery, il gruppo a cui fa capo anche Real Time, ndr) a chiedermi di aprirlo. Io non volevo: vedevo quelli degli agenti che parlavano di case sui social e non mi piaceva quel loro approccio, un po’ da maestri. Lo ritenevo poco coerente con la mia personalità. Per cui ho iniziato a fare dei reel, dei brevi video, in cui mostravo le case ma come farei a un mio amico, mettendo bene in evidenza i pregi o le caratteristiche che la rendono unica. È stato un esperimento, ma è piaciuto tantissimo, da subito».
Come è arrivata la proposta di partecipare a un programma televisivo?
«Mi hanno suggerito di fare il casting, ma quando è andato bene ho avuto più di un pensiero perché non credevo di avere il tempo per partecipare a una trasmissione. Allora mi dissero che era un esperimento, una puntata pilota e che nemmeno si sapeva se Discovery avrebbe poi prodotto il programma. Quando poi è arrivata la conferma per me è stato un salto nel buio e avevo moltissimi dubbi. Le prime 10-15 puntate hanno rappresentato una specie di tortura. Pensavo a cosa avrebbero detto gli altri agenti o in generale le persone. Sbagli una parola e ti criticano in tutta Italia e io non sono un imprudente, né amo il rischio. Credo che Casa a prima vista sia stata la cosa più rischiosa che ho fatto».
Conosceva le sue colleghe di avventura? Maria D’Amico e Ida De Filippo?
«No. Ora siamo amici: una esperienza del genere ci ha molto uniti. Ricordo che, dopo la pilota, ci diedero il piano di produzione con tutte le puntate da girare: ho guardato Mariana e ci siamo detti “ma come facciamo? Però era così forte la spinta... mi ha convinto vedere l’emozione di mia mamma nel pensare di vedere suo figlio in tv. È stata felice, purtroppo non a lungo».
Sua mamma è mancata un anno fa.
«Da allora porto il suo anello, la sua fede al dito, sul mignolo. Non è stata una scelta ponderata e nemmeno mi piace molto come estetica. Semplicemente l’ho indossato e non l’ho più tolto, come l’orologio di mio padre che pure ho sempre con me».
Quando ha capito che questo programma aveva cambiato la sua vita?
«Dopo un paio di mesi. Settembre 2023, direi. La gente ha iniziato a salutarmi per strada, a chiamarmi per nome. Un sabato pomeriggio sono uscito dall’ufficio e nel giro di duecento metri una coppia con un bambino mi ha fermato e mi ha chiesto un selfie: il bambino mi chiamava Gianluca. Poi qualcuno ha urlato dalla macchina: “Vai Gianlu, numero uno”. Un attimo dopo, stessa scena con una coppia di ragazzini. Ho guardato la mia collega incredulo».
I bambini a carnevale da due anni si vestono da Gianluca Torre.
«È assurdo dai. Ci hanno fatto di tutto, anche i pupazzetti. In poco tempo abbiamo registrato sei stagioni per quanto tutto va bene».
Però, ha deciso di non lasciare il suo lavoro di agente immobiliare. Perché?
«Innanzitutto perché amo questo lavoro. Poi ho delle responsabilità e le voglio mantenere. Inoltre è un mestiere strettamente legato al programma: sono mondi che si alimentano. Quindi sarebbe sciocco mollare. Poi, certo, sicuramente ora ho pochissimo tempo libero».
Stato sentimentale?
«Ho una compagna e sono felice. Lei non vuole assolutamente comparire e si stupisce per prima di tutto questo successo».
Ha tante imitazioni, tra cui quella di Ubaldo Pantani. Che effetto le fa?
«È stata una consacrazione, lo devo ringraziare. Lui ma anche Vittorio Pettinato o Turbo Paolo, che mi imitano sui social. Vengono esponenzialmente esasperati dei miei tratti».
Tipo l’amore per il corian (un materiale usato per lavandini e sanitari che Torre spesso accarezza con amore).
«Mio io l’amore ce l’ho veramente, è fantastico al tatto. A questo proposito proprio la mia compagna ride, dicendomi: “Ma ti rendi conto che ormai le persone parlano come te? I miei colleghi ora chiedono se le case sono ready to live o hanno la doccia walk in...”. Fantastico».
Nulla di strategico nel suo lessico?
«Ma no, sono termini che utilizziamo normalmente in agenzia. Come quando definiamo la killer application di una casa (il pezzo forte, insomma) o quello che è stunning... ecco, in effetti alcuni termini sono dei ritorni dal mondo della pubblicità, però mi vengono naturali».
Ci sono delle compravendite che le sono rimaste nel cuore?
«Di recente una bellissima villa di fine ottocento, che comprendeva anche un bunker, cinque posti auto, il giardino... sono venuti a vederla cantanti e personaggi noti, ma alla fine l’ha comprato un notaio appassionato di dimore d’epoca. Un’altra volta invece ho venduto una casa da due milioni di euro alla prima visita: l’hanno messa sul mercato e quel pomeriggio l’ho venduta a un principe tedesco. Poi ricordo un’altra casa ancora in cui vivevano anche otto conigli: dovevo fare le visite con gli animaletti che giravano per le stanze. Solo che bisognava stare attenti: erano stati divisi per piano visto che non andavano d’accordo tra loro. Ma la più bella c’è stata forse quel giorno in cui un signore mi ha aperto casa sua per una visita. Io non c’ero mai stato prima, di solito la promuoveva un mio collega. Ho portato i miei clienti, abbiamo guardato tutti gli spazi, l’ho descritta nel dettaglio, solo che una volta usciti ho capito che avevo sbagliato civico: quel signore mi aveva aperto comunque e aveva assistito alla visita in silenzio perché credeva che sua moglie ci avesse autorizzati. Per fortuna i clienti non avevano fatto una proposta d’acquisto. Se ci ripenso rido ancora».
Nel suo podcast, Casa Perfetta, è lei ad intervistare i suoi ospiti famosi.
«È molto interessante, sfidante. Anche in questo caso cerco di entrare in confidenza. La casa come tema è un pretesto, ma ti consente di analizzare molti aspetti: le case parlano di noi. Ho capito che Rocco Siffredi e Davide Oldani – le persone più diverse al mondo – sono entrambi due perfezionisti che hanno voluto disegnare di persona dei dettagli di casa. Oppure ho scoperto che Diletta Leotta è appassionatissima di immobili, potrebbe fare lei il mio lavoro».
La sua casa com’è?
«Super in ordine. Non voglio niente in giro, fuori posto, preferisco le superfici lisce. E ho pochi quadri, sono convinto che less is more».