Domenicale, 16 febbraio 2025
L’edizione di Porto Sepolto con prefazione di Mussolini
Il fragile seppur dignitoso fascicolo col Porto Sepolto del 1916, la prima raccolta poetica di Giuseppe Ungaretti uscita a Udine non lontano dal fronte, reca inscritta a fuoco la partecipazione all’impresa di Ettore Serra, finanziatore e dedicatario. Questi, di una famiglia di commercianti, era “un milionario” dal punto di vista del poverissimo Ungaretti, che infatti fu lusingato quando, qualche anno dopo la fine della guerra, gli propose una nuova edizione del Porto, del tutto diversa dalla prima. Le differenze testuali riguardavano soprattutto il corpus pubblicato, ma di questo i filologi si sono già occupati con maestria. Completamente rinnovato, invece, voleva essere il significato (e il significante) dell’edizione, che appare infatti di grandi dimensioni, con ampi margini, su carta di magnifica fattura, principescamente illustrata da un giovane, ma già affermato incisore, Francesco F. Gamba. Soprattutto, poi, dotata di una premessa di Benito Mussolini, in realtà laconica e insulsa, che – persino al di là dei più intimi sentimenti del poeta – allungherà su Ungaretti un’ombra scura durata per tutta la sua vita. Tale edizione, fin qui oggetto dell’attenzione soprattutto di bibliofili e collezionisti, piomba oggi sulla bilancia della storia dotata di una forza incredibile.
Ciò si deve a un fortunato ritrovamento. Riordinando le carte dell’archivio Magnani del Museo della carta di Pescia (Pistoia), il direttore Massimiliano Bini ha recuperato la documentazione relativa alla produzione di diverse risme di carta a mano di alta qualità, realizzata con una speciale filigrana voluta da Ettore Serra (si è conservato persino l’apposito telaio fabbricato ad hoc). Da questo nucleo si è partiti per ricostruire tutta l’impresa. Da un lato si è capito che, nonostante l’intestazione alla “Stamperia Apuana” di Serra, l’edizione fu invece realizzata dal raffinato editore Belforte di Livorno, specializzato in pubblicazioni ebraiche (anche in giudeo-spagnolo) e in libri illustrati (si veda lo studio di Piero Scapecchi sulla storia editoriale del volume e la scheda di Arianna Leonetti). Si sono poi ricostruite le scelte messe in atto per il lussureggiante apparato illustrativo, realizzato dall’abile xilografo Francesco F. Gamba, che veniva dalla scuola della rivista «L’Eroica» di Ettore Cozzani, come prova la ricerca condotta da Livia Fasolo. Dal canto suo Luca Cadioli ha brillantemente ricostruito la materialità dell’edizione, che comprendeva, tra l’altro, anche un fascicolo promozionale con le recensioni uscite dopo la princeps del ’16 (vedi in proposito la scheda di Luca Montagner).
L’occasione è stata anche utile per rileggere la citata prefazione mussoliniana, meglio indagandone il contesto e il valore. Ciò si deve a Giovanni Sedita, cui si aggiungono le importanti osservazioni proposte da Carlo Ossola nell’introduzione. Il tutto a fare da complemento alla serie dei preziosi materiali recuperati ed esposti (sia da pubbliche raccolte che da privati), tra cui spiccano tre matrici lignee originali create da Gamba per le sue incisioni. Si trattava, infatti, di un libro che aveva la pretesa di porsi come un punto di svolta nel panorama editoriale di quegli anni.
Da più parti – si pensi ad Aldo Sorani nel suo Il libro italiano – si era denunciata la fiacchezza e l’eclettismo dell’offerta editoriale nazionale.
Ecco allora sorgere la proposta del nuovo libro italiano, “classico” per qualità dei materiali e compostezza dell’impaginato, e assieme moderno, per le scelte dell’ornamentazione (sia quanto a stile che a tecnica, la rinnovata xilografia) non meno che per la nuova poesia di Ungaretti, dirompente nel panorama nazionale del tempo.
Tutta questa serie di approfondimenti, che valorizzano pure i carteggi italiani e francesi di Ungaretti, non solo consente una delle più raffinate e smaliziate ricostruzioni di un’impresa editoriale del Novecento, ma ha permesso di scoprire anche altro. Infatti, proprio in un rarissimo pieghevole promozionale allestito da Serra per la prevendita dell’edizione, viene chiaramente esplicitata la verve dell’impresa: come il fascismo aveva iniziato il rinnovamento della nazione, così questo libro, con le sue caratteristiche concettuali e formali, avrebbe dovuto rivoluzionare la cultura editoriale italiana! Tale intento miseramente fallì, anche solo dal punto di vista economico (le 500 copie rimasero largamente invendute), ma è importante cogliere la tensione culturale e artistica che animava l’impresa.
Essa si rivelò ben presto una illusione, se non un miraggio (il delitto Matteotti è dell’anno successivo!), ma permette di guardare al Porto Sepolto del ’23 non più solo come a un libro prezioso e affascinante, ma come il relitto di un sogno assieme estetico e politico, destinato a una delle più drammatiche disillusioni della nostra storia. In altri temini, se con questa edizione la retorica nazionalista e dannunziana figlia della Prima guerra mondiale aveva finalmente trovato un esito altissimo a livello poetico e artistico, la miopia dei suoi artefici li condannerà a reiterati compromessi (anche economici) col regime e alla oggettiva complicità coi più tragici esiti del fascismo.