Robinson, 16 febbraio 2025
I 127 alter ego di Pessoa
L’eteronimo può essere un fedele rappresentante ma anche un rivale: lo sapeva bene Ugo Foscolo, che per liberarsi dell’ingombrante identità di Jacopo Ortis si inventò la figura autoriale di Didimo Chierico, contrapponendogliela e lasciando che se la sbrigassero fra di loro. Nei casi più estremi, che ci portano dritti nel territorio della schizofrenia e della sindrome da personalità multipla, l’eteronimo corrisponde a una modalità mentale e stilistica dell’autore, tanto più autentica e necessaria quanto più autonoma; quando gli eteronimi sono legione, per riprendere un’espressione del vangelo di Marco, l’autore arretra in una zona d’ombra, dove al massimo gli spetta un ruolo da “curatore”.Ci sono eteronimi dotati di una precisa biografia e di un’articolata bibliografia, e altri più effimeri e volatili, ma non per questo meno seri. Nel caso ineguagliato di Fernando Pessoa di solito si considerano un terzetto di voci poetiche (Alberto Caeiro, Ricardo Reis, Álvaro de Campos), l’autore del Libro dell’inquietudine Bernardo Soares, l’investigatore Abilio Quaresma, ci si ricorda di un emulo di Poe come Alexander Search, di Antonio Mora, si aggiunge qualche altro nome, poi, a meno di essere uno specialista, ci si ferma: quando invece gli eteronimi inventati da Pessoa (a partire dall’età di sei anni) sono almeno un’ottantina, cifra che allentando i criteri selettivi potrebbe salire fino allo sbalorditivo numero di 127.Lo apprendiamo da uno snello ma densissimo libriccino di Paolo Collo (Il mio nome è legione. Fernando Pessoa e gli Altri, Amos edizioni), che partendo dalla natura «mostruosa» di questo autore plurimo ne ripercorre, inseguendole come un detective, le declinazioni e le moltiplicazioni: impresa non scontata, visto che in molti casi Pessoa si eclissava veramente dietro le proprie identità, con uno scialo di sé che rasenta la dissipazione. L’aggettivo «mostruosa» è di Antonio Tabucchi, che per certi versi (lo dico senza la malizia con cui la formula è stata escogitata in ambito critico) può essere considerato l’incarnazione postuma dell’ultimo eteronimo di Pessoa.Se Tabucchi ha raccolto e curato scritti dei maggiori eteronimi in Una sola moltitudine, Collo ha al proprio attivo, oltre alla cura del Libro dell’inquietudine, le Vite di Fernando Pessoa scritte da sé medesimo: titoli tutti (si potrebbe aggiungere Un baule pieno di gente, ancora di Tabucchi) che rispettano profondamente l’idea che Pessoa aveva di sé: «La mia anima è un’orchestra occulta; non so quali strumenti suonano o stridono, corde e arpe, timpani e tamburi, dentro di me. Mi conosco solo come sinfonia». La storia della letteratura offre molti esempi di autori che hanno firmato con un nome (in genere quello vero) le opere “alte” e con uno pseudonimo quelle “basse”, pornografia compresa: ma appunto si tratta di pseudonimia, cioè di un espediente che non minaccia ma al contrario preserva la propria identità.Pessoa al contrario, come chi sente le “voci” o dialoga con amici immaginari, ha creato attorno a sé e dentro di sé un mondo fittizio; ma attenzione, fittizio non vuol dire falso, vuol dire che il vero può diventare letteratura solo se espresso nei modi ( retorici, ludici, teatrali: appunto fittizi) dell’arte: «il poeta è un fingitore», recita la poesia più celebre di Pessoa, «finge così completamente /che arriva a fingere che è dolore / il dolore che davvero sente».Possiamo dunque immaginarci l’autore come un campo attraversato da forze che solo in minima parte dipendono da lui, secondo un paradigma di alienazione che ha avuto meravigliose epifanie in alcuni personaggi di Hoffmann, dal maestro Kreisler al gatto Murr. «Conobbi le amicizie, udii dentro di me le discussioni e le divergenze di opinioni», scrisse Pessoa nella Lettera sugli eteronimi «e in tutto ciò mi sembra che io, creatore di tutto, fossi quello che era meno presente. Direi che tutto accadde indipendentemente da me».Se quelli di Hoffmann sono personaggi, ogni eteronimo di Pessoa è una persona (pessoa in portoghese), cosa che rende particolarmente commovente il racconto della sua morte nelle parole finali di Paolo Collo: «Fernando Pessoa sta per morire. Ora attorno al suo letto ci sono tutti i suoi eteronimi, che occupano la stanza e il corridoio dell’ospedale. Per questo le sue ultime parole saranno datemi gli occhiali, perché non li riconosce tutti, alcuni sono cambiati. Tutti sono inevitabilmente invecchiati (…). E mentre lui esala l’ultimo respiro, tutta quella massa di persone, la sua Legione (…), in perfetto silenzio, esce dalla stanza (…). E come varca la soglia per uscire, sparisce, si dissolve nell’aria».