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 2025  febbraio 16 Domenica calendario

Quanto costa vivere a Milano, reportage

«Ma no, io non mi metto mai lì, al tavolino, a fare i conti, perché ormai lo so d’istinto quello che posso e non posso spendere. E perché tanto, poi, qui i conti non tornano mai». Anna ha 47 anni, due figli adolescenti, un cane, una casa popolare, un’auto del 2013 e un lavoro precario per tenere insieme questo suo piccolo mondo. Tradotto «in soldoni», significa che la vita di tre persone e un quadrupede si regge su un solo reddito di circa 1.500 euro, che entra in casa per 11 mesi all’anno ma che tutti i santi giorni subisce l’assedio dei costi del vivere a Milano.
Siamo in un caseggiato di proprietà comunale, alla periferia Nord-Est. Le luci dei negozi si contano sulle dita di una mano sola, si intuisce a colpo d’occhio che la città finisce lì. Ma è ancora Milano. Costeggiando i blocchi di palazzoni vecchi e nuovi in meno di dieci minuti si arriva a una fermata della metropolitana. La signora Anna, i suoi ragazzi di 17 e 12 anni e il cane abitano qui. In un appartamento popolare di tre locali, una settantina di metri quadrati al piano terra. Lei non ha difficoltà nel raccontarsi e nel descrivere al dettaglio le voci del suo bilancio familiare: «Non mi devo certo vergognare io, se guadagno poco, e bene o male tiro avanti», dice. Però niente nomi, neanche quello del cane, perché di mezzo ci sono due ragazzini ancora minorenni. Dal 2019 educatrice in un asilo nido del Comune, il suo stipendio è l’unica entrata regolare e sicura per l’intera famiglia: 1.500 euro netti al mese, che nelle oscillazioni dei conteggi possono lievitare verso i 1.600, più 390 euro di assegni familiari. E basta, ché non c’è alcun assegno di mantenimento o contributi da parte del padre dei ragazzi, da tempo fuori scena. Va detto, però, che la busta paga comunale arriva soltanto per 11 mesi, da settembre a luglio: perché il suo contratto da precaria si interrompe nel mese di agosto, quando i nidi sono chiusi. Per quei 31 giorni rimane la Naspi, cioè l’indennità di disoccupazione, che oscilla tra 600 e 800 euro. «Ma io lo so e mi organizzo», spiega Anna, parlandone come di un dettaglio poco rilevante. Più che altro la turba un’altra questione: il termine massimo di 48 mensilità del suo contratto. Significa che questo stipendio è garantito fino al prossimo luglio. E poi? «E poi dovrò inventarmi qualcos’altro, perché uno stipendio lo devo portare a casa».
Ma come si gestisce un bilancio familiare di circa 1.900 euro per tre persone a Milano? Riepilogare le entrate è un attimo, ma quali sono le uscite e come si controllano? Anna sorride e ribadisce che in realtà non fa molti conti: «So cosa posso permettermi e cosa no», spiega, ma accetta di fare una radiografia al suo conto economico. E con carta e penna, seduta a un tavolino del bar sotto casa, inizia a raccontare. «Cominciamo dalla casa: è comunale, quindi gestita da Mm, e il canone d’affitto è di circa 300 euro al mese, poi c’è la bolletta per l’energia, perché ho tutto elettrico, anche la cucina: e sono poco meno di 190 euro ogni bimestre. Alle bollette fisse aggiungiamo la connessione internet, 30 euro al mese, e i cellulari di tutti e tre, 21 euro in tutto».
Poi arriva l’auto: «Ce l’ho dal 2013, la uso il meno possibile e non metto mai più di 20 euro nel serbatoio, ma mediamente si arriva a 80 euro mensili. E poi c’è l’assicurazione, ho scelto il minimo indispensabile con la sola aggiunta del soccorso stradale, perché non si sa mai: comunque sono in prima classe e sono 300 euro all’anno». Per i trasporti c’è anche la voce Atm, cioè abbonamenti per bus e metro (scontati) per lei e per il figlio maggiore: in totale sono 47 euro al mese. «Il fatto di avere un Isee molto basso consente di accedere gratuitamente a diversi servizi», sottolinea Anna senza alcuna enfasi, per tornare all’elenco delle uscite: «Ovviamente in una casa con due ragazzi, il frigo deve essere sempre pieno, e diciamo che, cercando di stare attenta, mi vanno via mediamente 400 euro al mese. In più ci sono i generi che riesco a trovare all’emporio della Caritas, che funziona con tessere a punti, ma ha orari molto ristretti e non sempre riesco ad andarci». Mostra uno scontrino da 34,95: «Ma non sono euro, sono punti».
Gli Empori della solidarietà sono uno strumento creato dalla Caritas ambrosiana proprio per aiutare chi si trova in difficoltà economiche: attraverso colloqui nei Centri di ascolto si individuano le famiglie che possono avere bisogno di accedere agli Empori, piccoli supermercati dove si trovano prodotti indispensabili, dagli alimentari all’igiene. A ciascun utente viene assegnata una tessera a punti, basata sulla composizione del nucleo familiare e alle condizioni socioeconomiche. Ogni punto corrisponde a un euro, ma i prezzi sullo scaffale sono decisamente più bassi del valore commerciale dei prodotti. Per esempio: olio extravergine d’oliva 5,50 punti e pasta 0,30 punti; quindi una tessera da 50 punti corrisponde a una spesa che può valere 120-150 euro.
Il conto economico di Anna non si esaurisce con le spese così dette di prima necessità. «Anche perché sono necessarie pure le altre», chiosa lei con una punta di umorismo agro. E allora ecco che alla lista delle uscite si aggiungono i 220 euro per il servizio di prevenzione e cura del dentista (una sorta di abbonamento acquistato tramite un finanziamento), la rata da 80 euro per il condizionatore e poi alcune spese soltanto in apparenza secondarie: «Ai miei figli piace da matti mangiare da McDonald’s e allora abbiamo un patto che una volta alla settimana lo facciamo, e ogni volta sono una ventina di euro». Quindi 80 al mese, che diventano 150 se si considera anche l’uscita per la pizza: «Qui vicino c’è un posto che la fa buona, però mica ci andiamo tutti i mesi», spiega quasi per giustificarsi. Sempre per i ragazzi c’è l’esborso di 160 euro per l’attività sportiva in palestra e, infine, la paghetta settimanale da 20 euro a testa (160 al mese in tutto). «E poi mettiamo una cinquantina di euro che se ne vanno per spese varie, diverse ogni mese. Per esempio, le lenti a contatto, e pure quelle servono, eh?».

Arrivata a questo punto della sua ricostruzione, Anna imposta la funzione di calcolatrice sul cellulare, ed ecco il risultato: 1.818 euro di spese mensili. Algebricamente coperte dal volume delle entrate (quelle degli 11 mesi normali, s’intende), ma davvero al limite. Riesce a risparmiare qualcosa? «Ma quale risparmio? No, non riesco a mettere via niente, navigo a vista e di fatto vado avanti appoggiandomi al fido bancario che mi copre fino a 2.000 euro al mese». Ma soprattutto, sottolinea, «basta una spesa imprevista e tutto ’sto conteggio salta». E racconta che proprio recentemente un banale tamponamento ha provocato danni all’auto, al punto da lasciarla ferma «perché per adesso non ci sono soldi per ripararla», e poi di una sciatalgia che qualche mese fa le ha imposto il ricorso a un fisioterapista. Il pensiero va anche all’assicurazione e alla perdita dello status di «prima classe», che significa un premio più elevato.
Una vita da equilibrista, insomma. Ma come lei e i suoi ragazzi, a Milano sono tante le famiglie che vivono navigando a vista. E stiamo parlando di gente che lavora, che ha un’entrata stabile, a volte anche due, ma in ogni caso insufficienti a reggere il peso dei costi della vita in una città sempre più cara. L’ultimo Rapporto sulle povertà della Caritas ambrosiana, basato su dati del 2023, conferma la rilevanza del fenomeno del «lavoro povero» e spiega che ai centri d’ascolto e alla rete di servizi sul territorio «continuano a crescere le richieste di aiuto dettate da insufficienza di reddito, mentre si riducono i casi con problemi di lavoro».
Insomma, il lavoro si trova, ma il salario non basta. E quindi, sebbene «l’incidenza percentuale dei working poor sia stabile, l’evidenza è che in media si tratti di soggetti sempre più intensamente poveri, cioè sempre più lontani dalla disponibilità di risorse economiche sufficienti a garantire una dignitosa qualità di vita: tra gli occupati, denunciano problemi di reddito l’80,9 per cento (erano il 77,5 nel 2022)». E infatti, in pochi anni gli empori e le botteghe solidali si sono moltiplicati: ce ne sono 40 sul territorio metropolitano. Le famiglie con figli minori hanno una maggiore probabilità di cadere in povertà, anche quelle non numerose: «Quasi un nucleo su quattro, tra quelli che si rivolgono ai centri d’ascolto – sottolinea il Rapporto – ha all’interno figli under 18, che sono in media 2,01. Nel 23,5 per cento dei casi, alla Caritas bussano madri sole (nubili, separate, divorziate, vedove); in quasi tre casi su quattro, le famiglie povere con figli minori sono di nazionalità non italiana».
Anna non è il tipo che si sofferma a chiedersi se debba considerarsi «povera» o no. Lei ha in mente la scadenza del prossimo luglio, quando il suo contratto da precaria comunale non sarà più rinnovabile. Il racconto viaggia vorticosamente tra i mille lavori del passato a quelli del prossimo futuro: «Mi inventerò qualcosa, anzi ho già qualche idea». I ragazzi «sono bravi e non chiedono troppo», il cane «è la gioia più grande». Sogna però una vacanza: «Non ricordo nemmeno l’ultima volta che ne ho fatta una. Mi piacerebbe andare in Thailandia...».