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 2025  febbraio 16 Domenica calendario

L’Ilva verso la proprietà azera

Due rilanci per aggiudicarsi l’ex Ilva, ora Acciaierie d’Italia, con gli azeri di Baku Steel in vantaggio sugli indiani di Jindal. Sono scaduti a mezzanotte di venerdì scorso i termini per rivedere al rialzo le offerte vincolanti per acquisire tutti gli stabilimenti della più grande acciaieria d’Europa finita per la seconda volta in amministrazione controllata dopo l’uscita di scena del socio privato ArcelorMittal. La partita finale vede in campo due colossi asiatici del settore siderurgico: in pole Baku Steel, alleata di Azerbaijan Investment Company, azienda statale fondata nel 2006. Gli americani di Bedrock, che hanno giocato la partita con un approccio da fondo di investimento, si sarebbero fermati al primo step: non hanno fatto ulteriori rilanci. In un comunicato, i commissari di Acciaierie, Giovanni Fiori, Giancarlo Quaranta e Davide Tabarelli hanno dichiarano che si riserveranno alcuni giorni «per valutare attentamente le proposte ricevute e formulare il proprio parere, che sarà trasmesso al Mimit». L’obiettivo, sulla carta, è chiudere entro marzo per far ripartire la nuova azienda già a giugno. Per il ministro Alfondo Urso tutte e tre le proposte, compresa quella di Bedrock sono ancora sul tavolo. L’offerta di Baku Steel sarebbe passata da 450 milioni a circa un miliardo di euro (considerando anche i 500 milioni di valore di magazzino in dote all’ex Ilva) con un rialzo di 50 milioni. Gli azeri – che dalla loro hanno sia la grande disponibilità di gas che serve per la transizione dagli altiforni ai forni elettrici, hanno presentato l’offerta migliore dal punto di vista economico e occupazionale. Sono disposti a garantire il mantenimento di 7.800 posti di lavoro per due anni sui poco meno di 10mila che sono l’organico di tutta AdI a fine gennaio 2025. Il tema occupazionale è infatti una delle priorità insieme alla decarbonizzazione della produzione dell’acciaio e agli investimenti ambientali. E avere un numero molto alto di esuberi avrebbe complicato le cose, considerato che il passaggio, nel 2018, da Ilva in as ad ArcelorMittal ha creato esuberi, attualmente circa 1.700 in cassa integrazione straordinaria. Oltre agli azeri restano in gara anche gli indiani di Jindal International, la cui offerta sarebbe salita da 80 a 200 milioni, a cui si aggiungono oltre 2 miliardi di investimenti futuri. Rivisto al rialzo anche il numero di dipendenti, circa 7mila, garantiti nei primi due anni. Dal punto di vista della decarbonizzazione il piano degli indiani appare particolarmente solido per l’ampia disponibilità di preridotto per i forni elettrici mentre gli azeri puntano sulla riduzione dell’80% delle emissioni di anidride carbonica e sui rifornimenti dal Paese d’origine tramite una nave rigassificatrice. Una volta determinata l’offerta migliore, partirà il confronto esclusivo con il proponente nell’ottica o di arrivare a ulteriori perfezionamenti, oppure alla stesura del contratto di vendita sulla base dell’ultima proposta presentata. Una volta scelto l’acquirente principale, le aziende italiane interessate ai singoli asset potranno farsi avanti per diventare partner di minoranza, mentre lo Stato dovrebbe uscire definitivamente. Ma servirà capire dal piano industriale del vincitore se talune attività meno centrali rispetto agli stabilimenti di Taranto, Genova, Novi Ligure e Racconigi, hanno priorità o meno. In questo caso, l’acquirente comprerebbe comunque tutto – perché il bando ha privilegiato coloro che si sono fatti avanti per l’acquisto unitario. Preoccupazione per un processo che si preannuncia lungo, nel 2018 ci volle un anno mezzo per mettere a punto la vendita, e difficoltoso tra rischi occupazionali e ambientali, viene espressa dai sindacati. La Fim Cisl, tramite il segretario generale Ferdinando Uliano e il segretario nazionale Valerio D’Alò chiede la convocazione di un tavolo a palazzo Chigi.