il Fatto Quotidiano, 16 febbraio 2025
Il pre-conclave è già partito, Pizzaballa favorito
Nessuno più di Papa Francesco sa che la salute del Pontefice è il tema che da sempre tiene banco dentro e fuori il Vaticano. Dentro, per il naturale spoils system da cui non è immune nemmeno la Santa Sede. Anzi, in essa è molto più evidente con la decadenza immediata di quasi tutti gli incarichi apicali a ogni morte (o dimissione) di Papa. Soprattutto all’interno del Collegio cardinalizio, in particolare tra i porporati elettori, ovvero non ultraottantenni, che saranno chiamati a scegliere il suo successore e che non si conoscono affatto, anche a causa dell’ormai sempre più evidente internalizzazione di quello che viene definito il club più esclusivo al mondo.
Fuori, perché è innegabile che dalla Casa Bianca al Cremlino, che dall’america all’europa fino all’asia, il Vaticano sia uno snodo chiave sullo scacchiere della politica internazionale. Lo Stato più piccolo del mondo ha un’influenza morale globale inversamente proporzionale alla sua grandezza geografica.
La domanda allora, dentro e fuori la Curia romana, è una sola: come sta davvero il Papa? Gli stop and go della sua agenda, ormai entrati di diritto nella cronaca quotidiana, non fanno che alimentare la preoccupazione, in buona o in malafede, sulla sua salute.
C’è un pre conclave, per così dire, malato che equivale più a una sorta di aspettativa, di desiderio inconscio, che a una realtà imminente. C’è, però, un pre conclave sano che qualsiasi Papa dovrebbe favorire, soprattutto dopo lo choc delle dimissioni di Benedetto XVI e il conclave, decisamente frettoloso, che ne è seguito. Quel pre conclave che Wojtyla ha favorito nel suo pontificato, anche esponendo perennemente in pubblico la sua malattia e così rompendo il secolare tabù che il Pontefice gode sempre di ottima salute finché il suo cuore non smette di battere.
Come lo ha favorito? Essenzialmente in due modi. Il primo è stato quello tradizionale: favorendo la conoscenza all’interno del Collegio cardinalizio con riunioni a porte chiuse di un paio di giorni di tutti i porporati del mondo in occasione dei concistori per l’imposizione delle nuove berrette rosse. In tal modo, cardinali lontani geograficamente e culturalmente hanno potuto conoscere nomi, volti e pensieri di tanti loro confratelli.
Non è un segreto di Stato che a ogni recente Sede Vacante, vale a dire nel 2005 con la morte di Wojtyla e nel 2013 con le dimissioni di Ratzinger, il Vaticano ha dovuto realizzare in fretta e furia un book fotografico con nomi, volti e un breve profilo biografico degli eminentissimi cardinali elettori. Il secondo modo è stato quello di lasciare che il pre conclave si svolgesse serenamente e pubblicamente, senza percepirlo come una manifesta avversità nei suoi confronti da parte di quei porporati che lo animavano, anche in modo molto concreto, ovvero misurando il peso di ciascuna potenziale candidatura in termini di voti. Perché alla fine lo Spirito Santo non vota nella Cappella Sistina, ma i cardinali elettori sì.
È innegabile che, mentre scorrono le settimane iniziali del Giubileo 2025 e la salute del Papa desta qualche naturale preoccupazione, le prime serie candidature stiano già muovendosi in una campagna elettorale silenziosa ma capillare.
È il caso del cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini. Bergamasco doc, è nato a Cologno al Serio, il 21 aprile 2025 compirà 60 anni. Francescano, ha trascorso oltre trent’anni della sua vita in Terra Santa. Un Papa italiano, ma con una conoscenza unica del Medio Oriente, ovvero del crocevia delle tre principali religioni monoteiste, al centro di un conflitto perenne. È il suo, al momento, il nome in testa nel pre conclave sotterraneo, ma reale degli ultimi mesi. Pizzaballa ne è consapevole e si muove con estrema accortezza. Sa celare abilmente la sua visione completamente smarcata, non in modo pregiudiziale, ma perché figlia di un’esperienza unica in Terra Santa, rispetto alle storiche posizioni della Segreteria di Stato sulla soluzione dei due Stati per risolvere la decennale questione tra israeliani e palestinesi. Il suo pragmatismo tipicamente bergamasco lo rende molto distante dal tradizionale “apparato” curiale.
In questo c’è grande affinità con Bergoglio che, arrivato a Roma nel 2013 con un fortissimo pregiudizio curiale, per usare un eufemismo, dopo quasi dodici anni di pontificato ha mantenuto una sana diffidenza verso quell’apparato tanto caro agli uomini del servizio diplomatico della Santa Sede come il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin.
Attualmente i cardinali elettori sono 138, un numero altissimo per la storia dei conclavi. Il massimo dei votanti nella Cappella Sistina, infatti, è stato 115, valore che si è raggiunto sia nel 2005 che nel 2013. Ciò significa che, al momento, servono 92 voti per diventare Papa, un quorum che sa più di plebiscito che di maggioranza qualificata dei due terzi. È indubbio che con un tetto di voti così alto da sfondare (Ratzinger nel 2005 fu eletto con 84 suffragi e Bergoglio nel 2013 con 85) candidature come quella di Pizzaballa hanno più speranza di farcela. Sono, infatti, più difficili da concretizzare due cose: che gli outsider possano riscuotere un numero così alto di preferenze e che i candidati da anni presentati come papabili, Parolin per esempio, possano superare l’inevitabile logorio del tempo.
C’è, infine, un dato da non sottovalutare. Da tempo c’è chi parla di conclave controllato esternamente da Bergoglio per la larghissima presenza di cardinali elettori da lui nominati: ben 110 contro i 23 di Ratzinger e i 5 reduci di Wojtyla. Con dieci concistori in dodici anni di pontificato sarebbe decisamente impossibile uno scenario diverso. Ma ciò non rappresenta, come ingenuamente si potrebbe immaginare, una totale sintonia di pensiero tra Bergoglio e i porporati da lui nominati.
Un esempio per tutti: il cardinale Gerhard Ludwig Müller, prefetto emerito della Congregazione per la dottrina della fede, ha ricevuto la porpora da Francesco nel suo primo concistoro, nel 2014. Successivamente, proprio da Bergoglio è stato freddamente e sbrigativamente congedato, nel 2017, all’età di 70 anni, al termine del suo primo e unico quinquennio al vertice di quel dicastero che fu guidato per quasi un quarto di secolo da Ratzinger, di cui Müller cura l’opera Omnia. Il suo, durante le congregazioni generali che precederanno il conclave, sarà sicuramente un parere molto critico sul pontificato attuale. La domanda, allora, è una sola: otterrà consensi?