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 2025  febbraio 16 Domenica calendario

Carcerati di burocrazia

Ventimila persone potrebbero uscire dagli istituti, ma le pratiche sono al palo. Sovraffollamento e strutture inadeguate. In un giorno altri due suicidi in cella.  Nel giorno in cui il bollettino dei suicidi in carcere registra un nuovo, drammatico balzo in avanti – due vittime in 12 ore a Firenze e Prato, già 12 i morti da inizio anno – il collegio del Garante dei detenuti rivela che il sovraffollamento, forse la causa principale di disagio dietro le sbarre, potrebbe essere ridotto drasticamente. Certo, ci sarebbe una serie di condizioni da rispettare: la macchina burocratico-giudiziaria, innanzitutto, dovrebbe funzionare molto meglio.
Non ci sono evidenze sul nesso suicidi-sovraffollamento – premette Irma Conti, del collegio del Garante -. Su questo fenomeno bisogna dire però che 19 mila detenuti, con pene residue fino a tre anni, in base alla normativa potrebbero uscire dal carcere optando per misure alternative”. Invece queste persone restano recluse perché “la burocrazia, la carenza di risorse e di informatizzazione nei tribunali di sorveglianza creano ostacoli”. Parliamo di poco meno di un terzo di quanti stanno scontando una pena detentiva negli istituti italiani, una cifra enorme, ma in realtà la situazione è un po’ più complicata: “Dobbiamo concentrarci sulle persone che rispondono ai requisiti richiesti dalla legge per beneficiare dell’affidamento in prova alternativo al carcere – precisa Conti -. Il punto essenziale è che abbiano un domicilio, ma tenendo conto di questo requisito, 7-8 mila persone possono concretamente uscire, e potrebbero farlo domattina”. Giusto l’uso del condizionale, “potrebbero”, ma sempre a patto che la semplificazione delle procedure e la dotazione di mezzi adeguati delle autorità giudiziarie competenti siano attuate. Il che è molto meno scontato. Sotto il primo profilo, osserva il Garante, “la legge già prevede che il tribunale di sorveglianza decida con un’unica valutazione (prima erano due) sulla possibilità di essere liberato per chi deve ancora scontare 18 mesi in cella”.
Anche la richiesta di affidamento in prova, che un tempo il giudice doveva analizzare ogni sei mesi, “ora viene valutata una volta sola, al momento dell’istanza”. Tutto ciò però si scontra con l’inefficienza del sistema: “I tribunali di sorveglianza devono essere informatizzati, le risorse giudiziarie e amministrative devono essere implementate”, osserva Conti. Nel frattempo, i detenuti aspettano e il loro numero aumenta: erano oltre 62 mila alla fine del 2024, con un aumento del 3,3% rispetto all’anno precedente, secondo i dati dell’associazione Antigone.
Che sottolinea come il numero di 19 mila reclusi che potrebbero accedere a soluzioni alternative alla cella si riduca a poco meno di un terzo della cifra citata dal Garante: “Più che di problemi burocratici alla base di questo problema, parlerei di questioni di politica penitenziaria – fa notare Michele Miravalle, di Antigone -. Una parte considerevole di quei detenuti, parliamo di 6-7mila persone, non può uscire dal carcere perché non ha una casa, una famiglia o una persona affidabile secondo la legge che possa ospitarla. E questa la difficoltà più grave”.
Per ovviare ci vorrebbe una rete esterna di supporto, allo stato attuale inesistente: “Strutture di tipo comunitario con supporto sociale e psicologico, magari gestite dagli enti locali, che per il magistrato possano costituire un domicilio credibile – dice Miravalle Esiste anche una proposta di legge in questo senso del 2023, a firma di Riccardo Magi, che è rimasta lettera morta”. Il reinserimento lavorativo è un’altra via nella stessa direzione: “Servirebbero percorsi formativi adeguati all’interno del carcere che garantiscano un lavoro – aggiunge il responsabile di Antigone – così il giudice potrebbe accordare la misura alternativa. Sarebbe anche un modo per limitare il fenomeno della recidiva”.