Corriere della Sera, 16 febbraio 2025
Una vita senza olfatto
Una vita senza olfatto è un po’ come un mondo senza colori: tu vedi, ma appare tutto uguale. Profumi e odori sono inquilini invisibili della vita quotidiana, impalpabili al tatto, impercettibili alla vista, eppure capaci di influenzare umore, comportamento e decisioni.
«Non ci si rende abbastanza conto che il corretto funzionamento di gusto e olfatto ha un impatto cruciale sulla quotidianità – sottolinea Luca Raimondo, otorinolaringoiatra, direttore del Centro di diagnosi e cura dei disturbi dell’olfatto e del gusto dell’ospedale Humanitas Gradenigo di Torino –. Sono considerati la “Cenerentola dei cinque sensi” eppure, grazie a loro, intercettiamo una fuga di gas, arriviamo in tempo a spegnere il fuoco se qualcosa in cucina sta bruciando, ci accorgiamo se un cibo è avariato, curiamo l’igiene personale, viviamo i pasti con convivialità».
L’epidemia di Covid-19 ha riacceso l’attenzione soprattutto sull’olfatto, ampiamente sottovalutato da chi non lo ha mai perso. In molti hanno provato, seppure prevalentemente in modo temporaneo, la sensazione di vivere senza sentire odori e sapori. L’anosmia e l’iposmia (perdita totale o parziale dell’olfatto) si verificano quando, per qualche motivo, vengono danneggiati il neuroepitelio olfattorio, presente nelle cavità nasali (che converte lo stimolo chimico odoroso in una mappa elettrica) o le altre strutture della via olfattoria come i filuzzi olfattivi, i bulbi olfattori, i nervi olfattori o la corteccia olfattoria. La perdita di olfatto colpisce tra l’1 e il 5 per cento della popolazione mondiale. Con l’avanzare dell’età le percentuali salgono: si stima che almeno il 20% degli over 65 soffra di anosmia o iposmia.
Il legame tra il declino delle capacità olfattive ed età non è tuttavia così chiaro. «Le disfunzioni olfattive – avverte Sara Spinelli, presidente della Società italiana di Scienze Sensoriali – sono infatti collegate anche a malattie neurodegenerative come Alzheimer e Parkinson, tipiche degli anziani, e il motivo per cui l’anosmia è più frequente sopra i 65 anni potrebbe essere spiegato dal fatto che è proprio in questa fascia di età che sono più presenti queste malattie».
La perdita di olfatto (anosmia) nella maggior parte dei casi è una conseguenza di infezioni virali che possono distruggere o danneggiare i nervi olfattivi: non solo Sars-Cov-2, ma anche raffreddori, influenza, parainfluenze. Pure patologie croniche del naso e dei seni paranasali come rinite e sinusite con polpi e allergie possono distorcere l’olfatto, così come l’assunzione di alcuni farmaci, in particolare i chemioterapici.
Si può perdere la capacità di sentire gli odori anche a causa di un trauma. E non bisogna per forza pensare a un grave incidente automobilistico. «Un mio paziente ha smesso di sentire gli odori dopo essere caduto all’indietro dondolandosi con una sedia» ricorda Luca Raimondo, che spiega come sia il meccanismo di colpo-contraccolpo a provocare il danno. «Sbattendo la testa all’indietro il colpo genererà una lesione nelle regioni posteriori dell’encefalo, ma il contraccolpo andrà a danneggiare quelle anteriori, dove si trova tra l’altro la corteccia olfattiva primaria». I motivi della perdita dell’olfatto possono essere i più disparati: a una donna è successo a causa di un’ustione chimica del neuroepitelio olfattorio perché, dopo aver vomitato ed essere svenuta, parte del materiale gastrico le ha invaso le fosse nasali.
C’è anche chi nasce senza olfatto, un senso geneticamente determinato: all’interno del nostro Dna abbiamo una batteria piuttosto ampia di geni che codificano i recettori olfattivi. «In moltissimi quadri sindromici, una su tutti la sindrome di Kallman, sono presenti mutazioni genetiche che portano ad anosmia o iposmia (perdita parziale dell’olfatto) fin dalla nascita» aggiunge Raimondo. Si tratta di giovani pazienti con molte problematiche, che in genere vengono seguiti in centri per malattie rare congenite e il disturbo olfattivo spesso passa in secondo piano. Raramente, al di fuori di quadri sindromici, sono possibili anche casi di iposmie congenite isolate: il bambino nasce in questo caso senza bulbi olfattivi, in sostanza è privo dell’«hardware» che permette di trasmettere al cervello le informazioni olfattive e non potrà mai sentire odori e profumi. In questi casi la diagnosi, con risonanza magnetica all’encefalo, può arrivare in modo tardivo. «Di solito ci si accorge in adolescenza, quando i genitori del ragazzo si rendono conto che il figlio rimane impassibile a stimolazioni olfattive particolarmente sgradevoli. Nei primi anni di vita è difficile che i più piccoli diano un feedback sulla loro capacità olfattiva, peraltro in via di sviluppo» spiega ancora l’otorinolaringoiatra.
I racconti di chi è affetto da anosmia fin dalla nascita sono toccanti e spesso dolorosi. Silvia Anguera Roldan 46 anni di Barcellona ha raccontato a El Pais: «Vorrei sentire l’odore dell’erba bagnata, dei bambini e della benzina. Penso di aver realizzato che non avevo il senso dell’olfatto intorno ai 10 anni: con la mia famiglia abbiamo visitato una fattoria, tutti si lamentavano del cattivo odore del letame ma io non lo sentivo, ero immune. Da bambina mi bagnavo il naso per renderlo umido come quello dei cani, nella speranza che, imitandoli, avrei potuto sentire gli odori come loro».
Carolina Ortega Criado, 50 anni di Madrid, ha perso l’olfatto all’improvviso, forse per aver utilizzato solventi molto potenti per lavoro. «Non ho mai saputo come odorano i miei figli» lamenta.
L’anosmia è molto più impattante di quanto si immagini sulla vita quotidiana, con risvolti psicologici, sociali e di sicurezza. L’incapacità di sentire gli odori pone dei limiti oggettivi alla vita di tutti i giorni: le persone non sono in grado di avvertire una possibile fuga di gas, di capire se un cibo è avariato (con il rischio di andare incontro a una tossinfezione alimentare) o di rendersi conto che una pentola sta bruciando sul gas (rischiando di ustionarsi).
Ma l’olfatto non solo può salvare la vita, la può anche migliorare contribuendo a gustare il sapore dei cibi, a esplorare un ambiente, a rievocare eventi passati. «Gli odori riattivano emozioni legate ai ricordi, ma con l’anosmia il sistema va in crisi, non si attivano i percorsi emozionali per la memoria e questo può portare a depressione» sottolinea Sara Spinelli, che è anche professoressa associata di Scienze sensoriali all’Università di Firenze.
Senza il profumo invitante dei piatti appena cucinati si perde anche l’interesse per il cibo perché il sapore sembra tutto uguale e questo porta a mangiare peggio e a seguire una dieta meno varia con conseguenti problemi di malnutrizione. «Non c’è più la voglia di partecipare a cene con gli amici, con effetti anche sulla socialità».
Un altro grande «dramma» è l’igiene personale. Chi soffre di anosmia vive costantemente l’incubo di puzzare. I pazienti raccontano di dover chiedere ad amici e familiari di annusarli o di fare la doccia più spesso di quanto servirebbe per essere sicuri di non emanare odori sgradevoli.
Occhiali, lenti a contatto e laser ci aiutano in caso di calo della vista, apparecchi acustici intervengono se invece ci sono problemi con l’udito. Se però si subisce la riduzione o la perdita dell’olfatto, non ci sono dispositivi in grado di compensare il deficit.
Quando le cause dell’anosmia sono post virali è possibile trattare il problema farmacologicamente perché l’infezione causa un danno diretto al neuroepitelio.
«È importante intervenire con rapidità, entro due-tre settimane dall’insorgere del problema con antinfiammatori steroidei da concordare con il medico, evitando il fai da te» conclude Luca Raimondo. In seconda battuta è possibile optare per un trattamento noto come riabilitazione olfattoria, una sorta di «fisioterapia» per allenare l’olfatto a tornare, o almeno avvicinarsi, a valori normali.
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Per professionisti la cui attività lavorativa ruota intorno alle loro abilità sensoriali come chef, sommelier, ristoratori, creatori di profumi, produttori di vino, assaggiatori, la perdita di olfatto può creare problemi enormi, compreso il fallimento.
«In epoca Covid un produttore di vino mi raccontò, in crisi, di aver servito una bottiglia che sapeva di tappo durante una degustazione con importatori da tutto il mondo» ricorda Luca Raimondo, direttore del Centro diagnosi e cura per i disturbi dell’olfatto e gusto all’ospedale Humanitas Gradenigo di Torino. «I test psicofisici erano completamente compromessi e dimostravano una forte anosmia. Il paziente aveva avuto solo un po’ di mal di gola».
Con l’olfatto lavora anche Fabio Verona, manager del caffè per Costadoro, autore del libro Professione barista – Manuale pratico per l’espresso perfetto. «Nell’aprile 2024, durante le fasi di assaggio del caffè – racconta – non riuscivo più a sentire le note amare, che invece i miei colleghi percepivano molto bene». Verona ha pensato di aver mangiato qualcosa che gli faceva sentire gli aromi in modo diverso e non ci ha fatto troppo caso. Il giorno dopo, in famiglia, il figlio si è lamentato del sapore troppo amaro di una verdura. «Per me invece era buonissima e ho ripensato a quanto accaduto il giorno prima».
La sua fortuna è stata che, lavorando nel mondo degli aromi e dei sapori, conosceva già medici specializzati su questo fronte e non ha perso tempo, come invece capita spesso. «In quel periodo il rapporto con i miei colleghi è cambiato molto. In pausa pranzo mi facevo una doccia perché non avevo idea se puzzassi o no. Quando dovevo uscire chiedevo a mia moglie di annusarmi».
Dall’olfattometria ortonasale e retronasale è emersa una iposmia medio-grave. I motivi sono rimasti sconosciuti, probabilmente la causa è stata una blanda infezione virale.
«Dopo una terapia farmacologica – aggiunge Verona – ho iniziato la riabilitazione olfattoria secondo il protocollo di Hummel, alla quale ne ho associata un’altra specifica sugli aromi presenti nel caffè. Ho allenato il mio cervello ad associare sapori che percepivo in modo distorto e scialbo al ricordo che avevo dell’aroma. Oggi mi sento guarito al 95 per cento: su 8 aromi ne riesco a indovinare 6-7».
La perdita dell’olfatto ha colto Francesca Vajra, produttrice di vino nell’azienda agricola di famiglia, a Barolo, in un momento del tutto inaspettato: la gravidanza.
«Ho sempre avuto un ottimo olfatto fin da bambina, sono assaggiatrice e mi occupo della sala degustazione. Quando sono rimasta incinta ero molto curiosa di come sarebbe esplosa questa mia capacità di percepire gli aromi. Speravo di avere superpoteri invece, incredibilmente, non sentivo più niente».
Per Francesca, capace di riconoscere tipologia di vino, annata e spesso addirittura vigneto, la delusione è stata forte. La diagnosi parlava di rinite gravidica, disturbo comune in gravidanza caratterizzata da persistente ostruzione nasale, probabilmente di origine ormonale.
«Due settimane dopo la nascita di mio figlio, durante una passeggiata nel bosco ho sentito di nuovo il profumo dell’erba e della terra: mi sono commossa. A sei mesi dal parto, tutto è tornato come prima».