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 2025  febbraio 15 Sabato calendario

Eredità milionaria all’amante, perché l’amore si vive e non si processa

La maestrina era una donna dal sorriso buono. Il padre, un ricco imprenditore torinese, l’aveva adottata che lei aveva 13 mesi. E alla sua morte le aveva lasciato in eredità tutto il suo patrimonio: 10 milioni d’euro. Giuseppina Romani, 59 anni, la «maestrina di zona Vanchiglia» come la chiamavano, disse che con quei soldi voleva fondare un orfanotrofio. Ma poi si innamorò. Lui ha due anni di meno, fa l’assicuratore, è sposato, e ha tre figli. Lei gli regala una casa sotto la Mole, e compra anche una villa, «dove andremo a vivere insieme». Ma non ci andrà mai. Muore per infarto, all’improvviso. Però ha fatto in tempo a scrivere il testamento: al suo amore lascia tutto quel che le resta. Sette milioni. Il tribunale vuole vederci chiaro in questa storia. È circonvenzione d’incapace? Due processi dicono di no. Assolto perché «il fatto non sussiste». Giuseppina non era né troppo fragile, né succube. Era infatuata. Ma tutti gli innamorati lo sono.
Il punto è proprio questo. È davvero possibile codificare un rapporto d’amore con i suoi meccanismi a volte imperscrutabili – perché di questo alla fine si tratta – che attengono quasi esclusivamente alle relazioni umane che intercorrono fra due soggetti e la loro intimità? Qualche anno fa una rivista scientifica statunitense pubblicò una ricerca sull’innamoramento. Sosteneva che ci si innamora solo quando si è depressi, in un momento particolare della propria esistenza in cui sei più debole o irrisolto, hai paura e non sei soddisfatto di te stesso. L’innamoramento scatena una esplosione di seratonina, che stravolge la realtà e innalza il soggetto amato su un piedistallo. È quasi una forma di follia. Ed è vero che all’interno di questi meccanismi si possono facilmente creare situazioni in cui si cerca di confermare le attese dell’altro, persino le sue visioni fantasiose, ma è un fatto umano che riguarda un gran numero di innamorati.
Possiamo rintracciare il dolo in un contesto simile? Fino al 1981, il codice penale prevedeva in Italia il reato di plagio (dal latino plagium, sotterfugio), che è in qualche modo simile anche se più grave a quello della circonvenzione d’incapace. Articolo 603 in vigore dal 1930: «Chiunque sottopone una persona al proprio potere in modo da ridurla in totale stato di soggezione è punibile con la reclusione da 5 a 10 anni». Una sentenza della Corte Costituzionale ne sancì però l’illegittimità per «l’impossibilità del suo accertamento con criteri logico-razionali». Il fatto è che è estremamente difficile «individuare sul piano pratico e distinguere a fini di conseguenze giuridiche l’attività psichica di persuasione da quella anch’essa psichica di suggestione. Non ci sono criteri sicuri per separare e qualificare l’una e l’altra e per accertare l’esatto confine fra di esse». In certo qual modo, pur trattandosi ovviamente di reati diversi, quelle osservazioni sono valse forse a spiegare le sentenze sulla presunta circonvenzione della maestrina. Perché chissà se è vero che al cuor non si comanda. Però è vero che gli unici che possono giudicare l’amore sono solo quelli che lo vivono.