Corriere della Sera, 16 febbraio 2025
La liberazione di altri tre ostaggi
I cerimonieri di Hamas questa volta hanno cercato di ridurre l’auto-esaltazione, di evitare che il rilascio dei tre ostaggi diventasse uno spettacolo, un prolungamento dei quasi 500 giorni in cattività. Così ha chiesto la Croce Rossa Internazionale – e ancora ribadisce «va garantita la dignità dei liberati», rivolgendosi anche a Israele sulle scarcerazioni dei palestinesi – e così ha preteso per tutta la settimana il premier Benjamin Netanyahu, con i mediatori a esercitare pressioni sui capi fondamentalisti.
Che non hanno rinunciato alla scenografia per provare a mostrare al mondo – in diretta globale sull’emittente Al Jazeera, di proprietà del Qatar – e soprattutto agli abitanti della Striscia di non essere stati sconfitti dall’offensiva dell’esercito. Sotto al palco allestito a Khan Younis un lungo striscione illustra alcuni dei punti in cui i terroristi hanno attraversato la barriera all’alba del 7 ottobre 2023 per assaltare i villaggi e le cittadine dall’altra parte, 1.200 israeliani uccisi. Un manifesto dipinge Yahya Sinwar, il pianificatore degli attacchi, nei momenti prima di essere ammazzato il 16 ottobre dell’anno scorso, seduto sulla poltrona impolverata, guarda attraverso le macerie, sopra la scritta: «Niente trasferimento, solo a Gerusalemme». La risposta bellicosa al piano di Donald Trump che ripete di voler comprare Gaza, dove i palestinesi uccisi sono oltre 47 mila, e costruirci una «Riviera» di lusso dopo aver spostato la popolazione, un progetto contrario alla legalità internazionale.
Il presidente americano ieri ha insistito pure con l’ultimatum che imporrebbe ad Hamas la liberazione di tutti gli ostaggi in una volta, ne restano ancora 73, altri 14 da rimandare a casa nella prima fase dell’intesa da qui al primo marzo, solo 6 tra loro sono in vita. «Questa la mia idea, sta a Israele decidere», ha commentato via social media.
Gli israeliani hanno lasciato uscire 369 carcerati palestinesi, tra loro 36 condannati a vari ergastoli come Ahmed Barghouti, cugino di Marwan, il detenuto più celebre, mentre 333 erano stati arrestati durante il conflitto a Gaza. La direzione delle prigioni ha deciso di vestirli in maglia bianca con la Stella di Davide azzurra e la scritta: «Non dimenticheremo e non perdoneremo», divisa che quelli mandati nella Striscia si sono tolti e hanno bruciato ripresi dai cellulari.
Benjamin Netanyahu ha convocato una riunione del consiglio di sicurezza proprio per discutere come gestire l’ingiunzione dell’amico Donald. Durante la settimana, il primo ministro israeliano ha lasciato uscire messaggi ambigui, fino ad accettare il rilascio come previsto dall’accordo di Alexander Troufanov, Iair Horn e Sagui Dekel Chen, che ha scoperto il nome della figlia – Shahar Mazal – nata durante la sua prigionia, la moglie è sopravvissuta ai massacri incinta al settimo mese. Alexander ha saputo che il padre è stato ucciso nel sabato nero e Iair ha lasciato a Gaza il fratello minore: tifoso appassionato del Beer Sheva, ha chiesto che l’elicottero in volo verso l’ospedale a Tel Aviv passasse sopra lo stadio di calcio della squadra.
Tutti e tre erano stati portati via da Nir Oz che – ricorda Amir Tibon, tra gli abitanti del kibbutz e giornalista del quotidiano Haaretz — «è stato devastato, una su quattro tra le persone della comunità uccisa o rapita»: «L’accordo è sopravvissuto un’altra settimana ma è in pericolo – continua —. Netanyahu subisce la pressione dei fanatici nella coalizione che sono pronti a sacrificare gli ostaggi per realizzare la visione di pulizia etnica a Gaza e la ricostruzione delle colonie». Il patto – dopo che Hamas aveva minacciato di rinviare la liberazione di ieri – è stato salvato dall’intervento dei negoziatori egiziani, del Qatar e di Steve Witkoff, l’inviato di Trump per il Medio Oriente, che vuole riuscire a riportare tutti i rapiti indietro – quindi passando alla seconda fase – ma deve destreggiarsi tra le esternazioni del capo.