Corriere della Sera, 16 febbraio 2025
Il triste trionfo della rassegnazione
Da quando abbiamo smesso di desiderare il meglio? La metafora più sfruttata per descrivere il Festival di Sanremo, dal 1951 a oggi, è stata quella dello specchio del Paese. Un luogo comune buono per tutti gli abusi. Ma se grattiamo appena la sua frusta superficie, si aprono squarci di pura consapevolezza. Questa edizione, per esempio, è stata caratterizzata dalla rassegnazione. Sul palco dell’Ariston tutto era normale, dalla conduzione ai temi trattati, dalle proposte musicali ai numeri comici. Anche le spezie (un po’ di tv del dolore, un po’ di marmocchi, Benigni in promozione...) sapevano di pigrizia.Come si spiega allora il grande successo del Festival? Merito di una formula che ha escluso appelli sociali, svolte sovraniste, tentazioni egemoni? Il fatto è che noi stiamo scivolando sempre di più nella rassegnazione, la vera vincitrice del Festival. Ci lamentiamo ma non chiediamo di più: basta che treni e canzoni siano in orario. Il miglioramento non è più contemplato, nemmeno dai giovani, e ci va bene tutto: nello spettacolo, nella cultura, nella politica.
Questo funerale della speranza è diventato la nostra comfort zone, grazie anche al lento lavorio dei social dove ci si abitua a tutto e il dissenso scatena solo furie distruttive.
Una rassegnazione in streaming con altre rassegnazioni fa numero, audience, Paese.