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 2025  febbraio 15 Sabato calendario

«Vista la portata del fenomeno, per noi insegnanti l’irrompere dell’intelligenza artificiale nella vita scolastica è paragonabile alla pandemia di Covid19

«Vista la portata del fenomeno, per noi insegnanti l’irrompere dell’intelligenza artificiale nella vita scolastica è paragonabile alla pandemia di Covid19. Allora abbiamo dovuto attrezzarci in tempi brevissimi con la didattica a distanza e inventarci un nuovo modo di insegnare. L’arrivo dell’IA sulla scena non presenta le stesse caratteristiche emergenziali però, oggi come allora, il cambiamento si impone. Per adesso, si subisce». Serena Braglia insegna Lettere alla scuola secondaria di primo grado “Enrico Fermi”, a Reggio Emilia: sa che alcuni dei suoi studenti i compiti a casa li fanno fare a ChatGpt e non sono certo gli unici. Il problema è generalizzato ed è impossibile far finta di nulla. Né sarebbe intelligente, considerato che più passa il tempo e più l’IA diventa parte integrante della nostra quotidianità, invisibile ma presente in tutti i dispositivi di ricerca che già utilizziamo. Lo scorso maggio Google ha annunciato l’introduzione di Gemini – diretto concorrente di ChatGpt – nei motori di ricerca del gruppo, per cui, con il passare del tempo, diventerà (è già diventata?) sempre meno evidente la distinzione tra ricerca in rete e richiesta ai sistemi di Ia.
Strumento pervasivo finché si vuole, ma sempre uno strumento: né buono né cattivo in sé. Può essere motore di miglioramento, anche e soprattutto a scuola, tra i ragazzi, a patto di non sottovalutare le possibili conseguenze negative: «Soprattutto nell’adolescenza – prosegue Braglia – il cervello si sviluppa, le sinapsi proliferano. Ma se i ragazzi chiedono all’IA di risolvere i calcoli per loro, di tradurre dalla lingua straniera, di esprimere giudizi o di essere creativa… Il rischio è che si ritrovino con alcune capacità cognitive inibite». E speriamo di no, considerato che stanno venendo alla luce i bambini della generazione Beta la cui caratteristica sarà crescere fianco a fianco con l’intelligenza artificiale. Miglioreranno insieme? Sapranno collaborare per il bene comune? Crediamoci. Per ora, tocca a noi – adulti non sempre digitalmente alfabetizzati – cavalcare (o farci stravolgere) dal cambiamento inarrestabile.
«Qualcosa bisognerà inventarsi per sopravvivere – ragiona Marco Andreoli, professore di Lettere al liceo artistico “Enzo Rossi”, a Roma – perché lo strumento c’è e fa passi da gigante. La cosa singolare è che persino all’università si fanno ancora esami chiedendo agli studenti di portare una tesina, cosa del tutto anacronistica perché ChatGpt e le altre IA disponibili sono perfettamente in grado di comporne una credibile per un esame universitario. La peggiore delle soluzioni è impedire ai ragazzi l’accesso a questi strumenti. Proibire non paga mai. Piuttosto, spetta ai docenti capire cosa sia questo gigante, questo mostro». E chissà che uno dei problemi non stia proprio in questo atteggiamento: considerare l’IA un nemico significa arrendersi in partenza perché con un antagonista così, la guerra non si può che perdere. Davanti ai mostri meglio scappare… «E un mostro fino a quando non lo conosciamo. Resta da capire – si domanda Andreoli – se esiste la volontà da parte dei docenti di compiere questo scatto epocale. Magari a un passo dalla pensione». Sicuro non aiuta poter contare su una classe di insegnanti tra le più vecchie d’Europa (e peggio pagate): l’età media supera i 50 anni.
«Molti dirigenti lungimiranti in questi anni hanno investito soldi ed energie nella formazione digitale del loro corpo docente e ci sono iniziative all’avanguardia. A fronte di qualche arretratezza. L’IA – secondo Gianni Ferrarese, professore al liceo per 43 anni, autore del libro “101 idee per usare l’intelligenza artificiale in classe» (Erickson) – è uno strumento come un altro. Quando è stata introdotta la penna a sfera c’è chi ha alzato le barricate sostenendo che i bambini non avrebbero più imparato la bella scrittura, a cui pareva adatto solo il pennino». Del resto, Platone criticava la scrittura stessa. Ogni epoca ha avuto il suo nemico, negli ultimi trent’anni dalla televisione cattiva maestra si è passati ai videogiochi fonte di tutti ai mali, e poi al compu-ter, allo smartphone che rimbambisce ai social che isolano… Con gli adulti sempre divisi, chi sul fronte del vietare, chi su quello dell’educare. «La scuola – prosegue Ferrarese – è bloccata in una metodologia didattica superata. La lezione frontale, dove l’insegnante spiega, poi chiede ai ragazzi di studiare a casa quel che ha detto e infine di ripeterglielo in classe, non è più proponibile. Ma esistono molti altri metodi, e anche molto più creativi. È quel che si chiama attivismo pedagogico, sono gi studenti stessi con attività laboratoriali a creare il loro sapere. Si assegna loro un ruolo attivo. In questa visione l’IA permette di fare molto».