Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  febbraio 15 Sabato calendario

A Torino dove vengono curati i bambini feriti a Gaza


Il medico si era preparato le parole giuste. «Salam aleikum», ha detto emozionato. II bambino, quello più piccolo, ha risposto in arabo: «Che la pace sia anche su di voi». Il bambino più grande, invece, si è rivolto a sua madre sorridendo: «Mamma, qui parlano la nostra lingua, non siamo soli». Ma poi quello stesso medico, con l’aiuto di una mediatrice culturale, ha dovuto spiegare ai due bambini che dovevano fare l’esame del sangue, e quello piccolo si è messo a correre via. Strillava, non si lasciava prendere. Hanno dovuto tenerlo fermo in quattro durante il prelievo. «Perché l’ultima volta che è stato in ospedale a Gaza avevano finito l’anestesia. Hanno usato gli aghi da adulti, per lui che ha le braccia di un bambino di quattro anni. Aghi grossi, non avevano medicine. È stato un trauma». La madre ha spiegato tutto, e nessuno nel reparto oncologico dell’ospedale infantile Regina Margherita di Torino ha avuto qualcosa da ridire.Per arrivare a questa cura, a questi medici specializzati, a queste parole di benvenuto e al sacrosanto diritto alla salute, ci sono voluti un anno e quattro mesi. Dopo il 7 ottobre, dall’inizio della guerra, queste due famiglie palestinesi residenti a Gaza City avevano chiesto di poter curare i loro figli malati ovunque nel mondo, purché non sotto i bombardamenti. La Regione Piemonte, con il Regina Margherita e Casa Ugi sono andati a cercarli, letteralmente, nell’ambito della missione «Food for Gaza». L’Italia ha portato dodici bambini in salvo. Due di questi sono arrivati ieri notte a Torino su un volo partito dall’aeroporto del Cairo, che ha fatto scalo a Roma. Ad accoglierli c’era la professoressa Franca Fagioli, direttrice del dipartimento di Patologia e Cura del Bambino del Regina Margherita: «Stiamo già pianificando le terapie. Possiamo aiutarli a guarire».Il bambino piccolo, che nel frattempo ha compiuto 5 anni, ha un tumore cerebrale. Il bambino più grande, 9 anni, soffre di una grave malattia ematologica, che necessita di trapianto di cellule staminali. Sono qui con le loro mamme, e con due sorelle. Si chiamano Yasan e Mohammad.Quello che si sono lasciati alle spalle queste famiglie, l’hanno raccontato le due madri alla mediatrice culturale di origini siriane Ranà Nahas. «Hanno perso tutto. Casa, vestiti, soldi. Non hanno più nulla. Sono dovuti scappare da Gaza City, quando i soldati israeliani hanno bombardato il loro quartiere. Mi hanno detto che non c’è più niente. Che si sono fatti mandare le foto. Lì, nel punto dove abitavano, è stato spianato, restano solo macerie. Hanno perso parenti e amici. La madre di Mohammad ha un altro figlio rimasto paralizzato dalla vita in giù». È il fratello del bambino grande. Altri cinque figli restano adesso con il padre, al varco di Rafah, in attesa di ricevere notizie dall’Italia.Arrivare lì è stato molto difficile. Prima la fuga dal Nord della Striscia, verso una tendopoli nel cortile di una scuola di Khan Yunis. «Le madri mi hanno detto che erano in settanta dentro una sola tenda, avevano due metri di spazio a testa. Si scaldavano schiena contro schiena. Non avevano acqua da bere. Hanno patito la fame. Ma poi è stata bombardata anche la tendopoli. E sono dovute scappare ancora». Da Khan Yunis, alla frontiera egiziana, aspettando gli aiuti, il cibo e le cure per due figli molto malati.Colazione all’ospedale: yogurt, cereali, miele, caffè, succo d’arancia, budino. Cosa è questo? Cos’è il budino? «Un dolce al cioccolato», ha spiegato la mediatrice Ranà Nahas. Erano stanchi, molto stanchi e pieni di gratitudine per essere arrivati finalmente in salvo.«La prima cosa che ci hanno chiesto è di poter parlare con i parenti rimasti al confine con l’Egitto. Adesso internet è l’unico filo che lega le loro famiglie».La Regione Piemonte, per scelta del presidente Alberto Cirio, ha dato disponibilità ad accogliere in tutto undici bambini palestinesi. Sono moltissimi quelli che avrebbero bisogno di cure. Pochi sono nelle condizioni di poter partire. Un medico del Regina Margherita che si chiama Sebastian Asaftey è stato due giorni in Egitto a studiare le cartelle cliniche. Yasan e Mohammad potevano sopportare il viaggio. Sono arrivati. Possono guarire.Nessuno di loro aveva mai preso l’aereo. «Salam aleikum». «Che la pace sia con voi». Risonanza magnetica, pennarelli. Una doccia calda, i vestiti e i giochi di Casa Ugi. «Da governatore del Piemonte voglio dire che sono orgoglioso di quello che siamo riusciti a fare. Perché fare del bene, mettendo a disposizione l’eccellenza della sanità pubblica regionale, è davvero qualcosa di unico. Voglio ringraziare il Regina Margherita, la professoressa Fagioli e tutta l’équipe che si sta prendendo cura di questi bambini. Da padre, invece, voglio dire che…». Il governatore Alberto Cirio ammutolisce per qualche istante. Da padre? «Penso che conoscere queste storie, incontrare questi bambini, rimetta tutte le priorità in ordine. Sono due bambini che arrivano da Gaza City, una città che non esiste più. Avevamo già accolto piccoli pazienti dall’Ucraina. Penso che il nuovo nome di questo ospedale dovrà essere “Ospedale dei bambini nel mondo"».«Adesso siete a Torino, siete al sicuro. Riposatevi, mangiate», ha detto la mediatrice culturale Ranà Nahas ai bambini arrivati della città che non esiste più. Verso le cinque di pomeriggio Yasan e Mohammad si sono addormentati. —