Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  febbraio 15 Sabato calendario

L’oncologa Mastronuzzi: 8 bambini su 10 salvati dal cancro


Quando la genetica costringe i più piccoli ad affrontare il cancro, la chiave per vincere la sfida è far lavorare gli specialisti in rete e secondo standard aggiornati, assicurando così le terapie più moderne in tutti gli ospedali. Per dare l’assistenza migliore a bambini e ragazzi le strutture devono scambiarsi informazioni e strategie diagnostiche e di cura per i singoli pazienti. A questo lavora la Fondazione Umberto Veronesi, che finanzia i protocolli di Aieop, l’Associazione italiana di ematologia e oncologia pediatrica, e in questi anni ha permesso di seguire 6mila pazienti. Oggi si celebra la venticinquesima giornata mondiale contro il cancro infantile e Angela Mastronuzzi, oncologa pediatrica del Bambino Gesù di Roma e presidente di Aieop racconta come si affronta la malattia che fa più paura quando ad essere colpiti sono i più giovani.Quanti sono i nuovi casi ogni anno in Italia?«I tumori pediatrici riguardano 1.400 bambini fino a 14 anni e 800 adolescenti fino a 18. Oltre un terzo sono leucemie. Le cure migliorano di decennio in decennio, la percentuale delle guarigioni è passata dal 50-60% degli anni Ottanta all’80% di oggi».Come mai?«Perché la ricerca sulle terapie progredisce e perché conosciamo di più le malattie dal punto di vista biologico. Abbiamo imparato a capire le specificità dei pazienti e a rispondere al singolo caso con terapie adeguate».In Italia la qualità dell’assistenza sanitaria è talvolta troppo diversa tra una Regione e l’altra. Nell’oncologia pediatrica questo problema è meno presente?«Sì, perché abbiamo una rete di 50 strutture con protocolli condivisi, così indipendentemente da dove si ammala il bambino possiamo dare la miglior cura possibile. La Fondazione Veronesi finanzia in modo importante questi protocolli, che sono costosi da aprire e da gestire.Sono fondamentali perché ci permettono di offrire assistenza di qualità nelle varie zone del paese. Si agisce in modo multidisciplinare, coinvolgendo gli specialisti che si occupano di farmaci, di radioterapia, di chirurgia a seconda del problema».Che paziente è il bambino con il tumore?«È molto peculiare. Vive in modo diverso la malattia, è più facile da gestire, si affida alle cure. Per lui diventa la routine venire in ospedale, fare i trattamenti, vedere i dottori checonosce. Però bisogna ricordare che insieme a lui c’è una famiglia disperata, che ha bisogno di un sostegno più impegnativo. E poi ci sono gli adolescenti, che hanno una consapevolezza diversa della patologia, con esigenze personali associative e comunicative. Nei nostri centri li coinvolgiamo inattività, ad esempio abbiamo un torneo nazionale di calcio al quale partecipano anche pazienti guariti».I ricoveri sono molto lunghi?«Sì, anche di sei mesi o addirittura due anni. Succede ad esempio per le leucemie. Magari ci sono periodi nei quali si fanno le terapie senza bisogno di ricovero, però i tempi sono comunque importanti. Per questo nei nostri centri ci sono le scuole».Quanto è emotivamente difficile per voi professionisti lavorare con i bambini?«L’idea del bambino malato grave fa sempre molta tenerezza, è vero. Ma quando mi chiedono, e succede spesso, “come fai a fare questo lavoro?”, rispondo che non so come farei a non farlo. È vero, quando le cose vanno male e bisogna parlarne con i genitori, quando un bambino muore, o subisce effetti tossici dai farmaci, è devastante.Ma lavorare nei nostri reparti è un’esperienza arricchente. Ogni giorno impariamo qualcosa. Mi è capitato di avere problemi e restare fuori dal lavoro per un mese. Quando sono rientrata e ho visto il reparto mi sono detta: di cosa mi posso lamentare? Esercitare la professione qui è un’esperienza medica ma anche di vita. Continuiamo ad avere contatti con gli ex pazienti e con le famiglie di chi non ce l’ha fatta, che magari si dedicano ad aiutarci».Qual è il futuro delle cure? I risultati miglioreranno ancora?«Lavoriamo non solo per farli guarire ma anche per guarirli bene, cioè per evitare gli effetti collaterali di certi trattamenti, talvolta mortali. Migliora la nostra conoscenza delle patologie e si va verso delle terapie sempre più personalizzate, con farmaci target. I n Italia utilizziamo già le Car-T, terapie che possono essere molto efficaci e che non tutti in Europa hanno ancora a disposizione. Anche da qui passa il futuro. Va ricordato che l’incidenza di questi tumori non tende ad aumentare, fortunatamente, perché sono prevalentemente genetici e non vengono condizionati da ambiente e stili di vita, come invece succede per quelli degli adulti. Quindi, possiamo migliorare ancora i dati di sopravvivenza, far guarire più bambini».