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 2025  febbraio 14 Venerdì calendario

La moglie di Roberto Vecchioni parla del loro amore


Vincendo Sanremo nel 2011 con Chiamami ancora amore, Roberto Vecchioni si era commosso raccontando di «quella persona» che l’aveva visto salire sul palco davanti a milioni di spettatori e aveva pensato che sembrava «un bambino piccolo piccolo, un puntino vestito di blu e aveva tremato, pensando: è solo davanti a tutta quella gente, io non ci sono… E se non lo capiranno?». E allora, Vecchioni, ormai col suo trofeo in mano, aveva guardato la telecamera e «a quella persona», a sua moglie Daria Colombo mai nominata perché tanto più riservata di lui, aveva detto: «Io non ero solo, perché, in quei quattro minuti, ho sempre avuto un filo che mi legava a te. E non me ne fregava se non mi capiva nessuno, mi bastava che mi capissi tu, come hai fatto per trent’anni».Daria, è questo l’amore: che per trent’anni, ormai per 44, capirsi l’un l’altro conta più di ogni altra cosa?
«È questo, anche se noi non sempre ci siamo capiti. I momenti di confronto, se non di scontro, ci sono stati. Tanti. Ma vince la solidarietà dell’uno verso l’altro e, più il tempo passa, meno contano le farfalle nello stomaco, conta che ti senti a casa e senti di essere due in uno».
Perché non sempre vi siete capiti?
«Diciamo che Roberto vive un’eterna adolescenza. Ha fatto sempre quello che voleva. Ma sono più le cose positive che negative. Innanzitutto, lui è una persona buona e, ancora oggi, avverte la necessità di avermi accanto».
Primo incontro nell’81. Lui racconta che l’ha vista ed è svenuto.
«Esagerato».
Ha detto, a Massimo Gramellini su La7: «Non avevo mai visto una donna più bella, un miracolo da cui sprigionavano auree... Pensai: la manda Dio».
«Mamma, quanto è enfatico. Vabbè, io avevo 25 anni, non ero certo male, ma non mi ricordo che fosse svenuto».
In un’intervista ad Aldo Cazzullo, lui ha raccontato «Daria mi ha salvato la vita tante volte».
«Gliel’ho salvata letteralmente quando l’ho costretto a fare accertamenti e poi ha subito interventi che, se non li avesse fatti, moriva. In senso più metaforico, gliel’ho salvata quando prendeva direzioni sbagliate».
Che qualità ci vuole per stare accanto a un artista?
«All’inizio, ho avuto come alleata la scuola: finché ha fatto il professore, la mattina doveva andare a scuola. Raggruppava i tour d’estate e gli andavo dietro coi bambini. Dopo, immagini il padre che non c’è mai o il padre che c’è, ma dorme di giorno. Avevo sposato un prof, non un cantautore, mi ha fregata».
Sempre a Gramellini lui ha confessato di aver chiesto scusa ai figli per avergli dato solo «gioco e sogni».
«Insegnare la realtà è un ruolo toccato a me. Nostra figlia racconta che da piccola sapeva che soldi o permessi andavano chiesti a mamma, perché chiedere a papà era barare».
I Girotondi sono nati nella cucina di casa sua e lei ha inventato il romanzo politico-sentimentale. Quanto conta condividere gli stessi valori politici?
«Senza quello, stare insieme a lungo è impossibile. Poi, magari Roberto non è movimentista come me, lui è un intellettuale, scrive, io sono una che fa casino».
Nell’ultimo romanzo, «Il cielo su Via Padova», si parte da un amore finito. Finito perché?
«Per l’abitudine a non portare a galla i problemi: a forza di non detti, l’amore finisce. Letizia dopo un’esistenza borghese in centro a Milano, da separata, si ritrova a vivere più in periferia, dove scoprirà un’umanità altra, di tutte le provenienze, un’esperienza che la cambia. Il senso è che la parte migliore dell’umanità è quella che si accetta arricchendosi a vicenda. Quanto alla coppia, il messaggio per San Valentino è che bisogna parlarsi, dirsi cosa va bene e soprattutto cosa non va».
La dedica «al suo immenso amore invisibile» è per suo figlio Arrigo, mancato l’anno scorso?
«Di lui non riesco a parlare. La morte di un figlio non si supera mai».
Lei come ha educato i suoi tre figli ad amare e alla parità?
«Con l’esempio. Ma i giovani sono naturalmente migliori di noi. Mia figlia e mio genero sono entrambi architetti impegnatissimi, ma distribuiscono il lavoro domestico equamente. Le nuove generazioni mettono in pratica le cose di cui noi blateravamo».
Quando lei «blaterava», suo marito come reagiva?
«Il mio caso non fa testo, lui è più vecchio, viene da una generazione abituata a farsi servire. Io sono la femminista che ha dovuto adeguarsi».
Nel ‘92, suo marito fu contestato dalle femministe per quella canzone in cui diceva «voglio una donna donna con la gonna… Prendila te la signorina Rambo». Era ironia o c’era un fondo di verità?
«Era una canzone troppo avanti e non è stata capita. Contestava una certa esasperazione femminista. Essere femminista non significa acquisire valori maschili. Io voglio avere gli stessi diritti dei maschi, ma non voglio essere, come dice la canzone, “stronza come un uomo”».
Oggi, festeggiate San Valentino?
«Non festeggiamo, ma un mazzo di fiori arriverà».